Dodici giorni dopo la sentenza – e sei anni dopo gli arresti – l’Ordine degli psicologi dell’Emilia- Romagna rompe finalmente il silenzio sul caso Bibbiano. Non solo per prendere posizione, ma per fissare un punto fermo: il clamore mediatico che ha travolto l’inchiesta “Angeli e Demoni” non ha distrutto soltanto le vite dei professionisti coinvolti, ma ha eroso la credibilità di intere categorie – psicologi e assistenti sociali – trascinandole per anni in un cono d’ombra. Ora si prova a uscirne.

Entrambi gli Ordini nazionali, all’epoca, avevano scelto di costituirsi parte civile (quello degli psicologi l’ha poi ritirata poco prima delle arringhe), spiegando di voler attendere la “verità processuale” prima di pronunciarsi. Una scelta difensiva, in un contesto in cui le condanne sociali arrivavano molto prima di quelle giudiziarie. Così gli imputati - alcuni licenziati, altri sospesi, altri sottoposti a disciplinare - si ritrovarono travolti da una doppia gogna: processati dall’opinione pubblica e lasciati soli dalle istituzioni che li rappresentavano. Meglio tardi che mai, dunque.

«Dopo sei anni di inchieste, titoli sensazionalistici e sentenze emesse ancora prima che fossero state date nelle sedi opportune, psicologi e operatori sociali coinvolti nell’inchiesta “Angeli e Demoni” sul presunto sistema illecito di affidi nel Comune di Bibbiano sono stati assolti – si legge in una nota diffusa il 21 luglio –. L’Ordine delle psicologhe e degli psicologi dell’Emilia- Romagna accoglie con rispetto questa sentenza che restituisce dignità professionale alle colleghe e ai colleghi, la cui immagine è stata mediaticamente compromessa da una narrazione spesso priva di riscontri, stravolgendo la loro quotidianità in modo irrisarcibile». La nota dell’Ordine riconosce che la vicenda Bibbiano «ha segnato profondamente le persone coinvolte, famiglie, bambini, cittadini e l’intero sistema dei servizi sociali e psicologici. Ha minato la fiducia dei cittadini nei professionisti della salute mentale e della tutela dei minori, confondendo ipotesi di reato con condanne già emesse». Un monito che oggi si traduce in una lezione amara: l’agire clinico e sociale non può essere giudicato sulla base del clamore mediatico, ma solo nelle sedi competenti, nel rispetto dei principi giuridici e deontologici.

«Come Ordine, oltre a essere vicini alle colleghe e ai colleghi che hanno vissuto questa drammatica vicenda, continuiamo a sostenere il valore di una psicologia etica, trasparente, rigorosa e fondata su evidenze. E ribadiamo la necessità di proteggere i professionisti da situazioni che ne minano la credibilità, con ripercussioni gravi sull’intero sistema di tutela delle persone vulnerabili – prosegue la nota –. Ci uniamo all’appello di molti giuristi e professionisti della salute mentale affinché la comunicazione non sia più sensazionalistica e frettolosa, ma più consapevole dell’impatto che può avere, soprattutto quando si parla di professionisti, di minori e di famiglie». Un appello che, nelle scorse settimane, era arrivato anche dalla comunità scientifica dei medici legali, quando era stata indicata la necessità di cambiare il paradigma comunicativo per riportare l’attenzione sulle metodologie, sui fenomeni, sulle procedure scientifiche e sulle loro evoluzioni. Una visione più equilibrata e consapevole, che nel caso Bibbiano – complice soprattutto la stampa – è mancata sin dall’inizio.

Nel pieno della mediatizzazione del caso, l’Ordine di Torino aveva addirittura avviato un’indagine interna su Claudio Foti – figura simbolo dell’inchiesta – dopo che si era diffusa una delle tante fake news: che non avesse titoli per esercitare come psicoterapeuta. Un’accusa infondata: il suo titolo di studio risaliva all’epoca precedente alla riforma del 1989 che regolamentò la professione psicologica e l’attività psicoterapica, una legge che definì criteri transitori e demandò a commissari ministeriali il compito di vagliare i curricula e riconoscere i titoli pregressi. Un accertamento superfluo che divenne un altro ingranaggio di una macchina del fango che, anche oggi, fatica a fermarsi nonostante il crollo giudiziario del caso. A commentare la nota dell’Ordine emiliano è proprio Foti, che nonostante l’assoluzione definitiva si trova ancora, assurdamente, sotto procedimento disciplinare, così come Nadia Bolognini, assolta da tutte le accuse a Reggio Emilia. «Sommessamente suggerisco che una riflessione critica andrebbe anche fatta sul comportamento di quelle colleghe che hanno contribuito alla mia distruzione professionale, salendo, armi ideologiche in pugno, sul carro di un’indagine giudiziaria e affermando che la mia psicoterapia sarebbe stata iatrogena avendo io contribuito con qualche seduta a determinare nella paziente un disturbo di personalità borderline (sic!) diagnosticato in un solo colloquio (sic!) e altre penose amenità pseudoscientifiche, fra cui la più pericolosa ed assurda è quella in base a cui uno psicoterapeuta non dovrebbe tentare di curare il trauma di un paziente, se prima questo trauma non è stato accertato in ambito giudiziario - ha commentato sul suo profilo Facebook -. Dopo la presa di posizione dell’Ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna attendo un’analoga presa di posizione da parte del mio Ordine regionale, quello del Piemonte, che dopo il mio coinvolgimento nella vicenda di Bibbiano non solo non mi ha espresso alcuna solidarietà, ma pure sei anni fa ha aperto un procedimento disciplinare contro di me, che mi risulta tuttora aperto».