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Rilievi e ricostruzioni 3D nell’abitazione della Famiglia Poggi Garlasco in via Pascoli
Si difende a spada tratta l'ex maresciallo dei carabinieri Giuseppe Spoto in seguito alla perquisizione subita venerdì scorso, eseguita nell'ambito dell'inchiesta che coinvolge l'ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, per il caso Garlasco. Intervistato nel corso della trasmissione Quarto Grado su Retequattro, Spoto ha negato categoricamente ogni accusa di corruzione.
«Non ho mai preso soldi dalla famiglia Sempio: non avrei mai venduto il mio onore e la mia divisa per niente al mondo», ha dichiarato Spoto. Egli ha poi espresso il suo sollievo, sebbene turbato: «Non sono indagato, quindi già per il momento è una buona notizia. È stato uno shock, sicuramente, perché vedere arrivare nella propria abitazione alle 7 del mattino otto persone per fare una perquisizione, per prendere un cellulare, due computer, un’agenda che avrei potuto tranquillamente consegnare a espressa richiesta».
La telefonata ad Andrea Sempio
A proposito della discussa telefonata intercorsa con Andrea Sempio (il cugino della vittima, il cui DNA fu trovato sulla scena del crimine), Spoto ha fornito la sua spiegazione sul perché fosse necessario instaurare un rapporto apparentemente colloquiale: «La telefonata la feci per rassicurarmi che Andrea Sempio rimanesse sul luogo di lavoro, a Montebello della Battaglia, presso l'Iper, dove lavorava».
In merito alla sua frase, intercettata, «almeno facciamo due chiacchiere», l'ex maresciallo ha chiarito: «Serviva, come ho detto, fondamentalmente per assicurarmi che non lasciasse il posto di lavoro. Quindi fare due chiacchiere per me era fargli la notifica, non c'era nessun secondo fine nella mia azione. Era quello il mio obiettivo».
Riguardo ai presunti pagamenti, Spoto ha ribadito con forza: «Assolutamente no, perché avrei dovuto? Io ho fatto solo il mio lavoro ed esclusivamente il mio lavoro. Io ho una coscienza cristallina, ho fatto 40 anni nell'Arma, sono figlio di carabinieri, sono stato educato in un certo modo. Non avrei mai venduto il mio onore e la mia divisa per niente al mondo».
L'analisi della difesa Sempio: «Nessuna prova certa»
Contemporaneamente, il caso Garlasco torna sotto i riflettori con le dichiarazioni di Armando Palmegiani, ex funzionario di lungo corso della Polizia di Stato e oggi consulente tecnico della difesa di Andrea Sempio. Palmegiani ha ribadito con fermezza la sua convinzione riguardo all'innocenza di Sempio, una convinzione che, come afferma, precede la sua nomina a consulente.
«Sull'innocenza di Andrea Sempio non ho cambiato idea. Ne sono sempre stato convinto anche prima che venissi nominato consulente della difesa», ha chiarito in un'intervista a LaPresse. L'ex investigatore, noto per aver lavorato a casi complessi come il triplice omicidio di prostitute a Prati, ha precisato che un suo precedente intervento in TV sarebbe stato decontestualizzato: «Hanno estrapolato solo sei secondi, isolando una mia frase sul DNA e sull’impronta 33. Ma in realtà stavo spiegando l’opposto di quanto è stato fatto intendere».
DNA e impronta 33: La smentita tecnica
Palmegiani sta rivedendo l'intera documentazione processuale che portò alla condanna definitiva di Alberto Stasi per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi. «Dai primi esami che ho compiuto non emerge alcun elemento che collochi Sempio sul luogo del delitto», ha affermato, pur specificando di non volere accusare Stasi, ma di ritenere insufficienti le prove della condanna originale.
Riguardo alla traccia biologica, Palmegiani chiarisce il valore forense: «Sì, si tratta del DNA di Sempio, ma parliamo di una traccia trascurabile, trovata sotto le unghie della vittima, probabilmente derivante da un oggetto toccato da entrambi. Non indica affatto un'aggressione o un contatto violento».
L'attenzione si sposta anche sulla cosiddetta «impronta 33». Il consulente ribadisce: «L’ho detto più volte: quell’impronta non lo identifica. Le corrispondenze sono talmente minime da non essere utilizzabili a fini forensi». I dati a confronto dimostrano l'incertezza: «La Procura ha individuato 15 punti di contatto, la difesa ne conta solo 5, mentre la parte civile parla di 10. Questa variabilità dimostra quanto la traccia sia incerta. Non si vede chiaramente e il DNA associato è degradato e incompleto».
Palmegiani conclude suggerendo di orientare le indagini su altri elementi e non escludendo che dietro l'apertura del nuovo filone investigativo che coinvolge l'ex procuratore Venditti si nasconda «uno scenario più ampio, ma è prematuro parlarne ora».