«La nuova assoluzione per Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter - avvenuta dopo una fulminea camera di consiglio a seguito della richiesta della stessa pubblica accusa - dovrebbe definitivamente spingere i garantisti di ogni parte e coloro che hanno a cuore una giustizia realmente giusta ad avviare finalmente una riflessione approfondita sull’uso politico che è stato fatto della giustizia nell’ultimo quarto di secolo».

Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia e vicepresidente della Camera, rilancia la proposta di una commissione sull’uso politico della giustizia, già depositata a Montecitorio il primo luglio 2020 dal partito di Berlusconi e ripresentata all’inizio dell’attuale legislatura dal deputato azzurro Pietro Pittalis. Una proposta che parte da una convinzione: il Cavaliere è stato perseguitato dalla magistratura, con lo scopo specifico di distruggerlo politicamente. La proposta - all’epoca condivisa anche da Lega e Fratelli d’Italia, con tanto di firma della leader Giorgia Meloni - partiva dal caso Palamara e dalle parole del giudice Amedeo Franco sulla condanna di Berlusconi nel processo Mediaset, finito, secondo quanto contenuto da alcuni audio, davanti ad un «plotone d’esecuzione».

Questioni che spinsero i firmatari della proposta - ben 255 deputati - a chiedere di fare chiarezza, tra le altre cose, sullo stato dei rapporti tra le forze politiche e la magistratura, tra toghe e media, sui rapporti tra le correnti e i partiti e sull'esistenza di «casi concreti di esercizio mirato dell'azione penale o di direzione od organizzazione dei dibattimenti o dei procedimenti penali in modo selettivo, discriminatorio e inusuale». Una commissione, insomma, cucita addosso al caso Berlusconi, partendo dagli scandali dell’Hotel Champagne, spunto per ragionare sul principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, descritto da Palamara, si legge nella relazione del progetto di legge, «una fictio iuris che consente alle procure di decidere se, come e chi indagare, quali indizi considerare e quali no, quali intercettazioni utilizzare e quando accendere o spegnere i trojan».

La proposta, durante il governo Conte 2, aveva creato non poche fibrillazioni, data la scelta di Italia Viva, all’epoca forza di maggioranza, di appoggiare i colleghi di Forza Italia, seduti tra i banchi dell’opposizione. E anche oggi che i rapporti di potere si sono invertiti, fanno sapere fonti interne al partito, i renziani non dovrebbero avere difficoltà ad appoggiare il ddl anche nel corso di questa legislatura. Sul fronte Fratelli d’Italia, l’idea è che, come già lasciato intendere in più occasioni, non ci sia l’intenzione di creare un clima di scontro con le toghe, ma di avviare un dialogo che possa aiutare anche a superare le degenerazioni degli ultimi anni. Ma a invocare prudenza - pur condividendo l'importanza del tema - è la Lega. «Sono convinta che non debba essere il singolo caso a far nascere una legge o una commissione - ha spiegato al Dubbio Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia al Senato -, ma va sottolineato al contempo che dopo lo scandalo Palamara non si è aperta una profonda riflessione sulla indipendenza della magistratura. Quindi il tema posto merita adeguata attenzione». Un concetto confermato dal segretario della Commissione Giustizia alla Camera Jacopo Morrone, che all’epoca appoggiò la proposta. «È un tema che desta interesse - ha evidenziato -, faremo un’attenta valutazione e prenderemo la proposta in considerazione, nello stile garantista della Lega. Il singolo caso non può prevedere una iniziativa legislativa, ma valuteremo che materiale c’è da prendere in considerazione. Ogni singola sentenza è ovviamente importante, ma bisogna capire di che numeri stiamo parlando e se meritano una commissione specifica».

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Per Enrico Costa, responsabile giustizia di Azione e tra i firmatari, due anni fa, della proposta, il tema non è tra i più urgenti da affrontare: «Penso che in questo momento occorra concentrarsi su questioni concrete, a partire dalla separazione delle carriere e dell’esercizio della delega sul Csm - ha evidenziato -. Penso che ci siano tanti temi urgenti. E mettere troppa carne al fuoco bloccherebbe tutto». Mentre dal Pd, così come avvenne nel corso della precedente legislatura, la stroncatura è netta: una Commissione del genere, secondo i dem, rappresenterebbe infatti una vera e propria dichiarazione di guerra alla magistratura. «Come ho già avuto modo di dire questa destra è vecchia nelle proposte - ha commentato la vicepresidente del Senato Anna Rossomando -. Ritorna a idee strampalate di 20 anni fa come la sempreverde commissione d'inchiesta sulla magistratura, che ha il solo scopo di riproporre uno scontro tra politica e magistratura che il Parlamento ha archiviato da tempo. E intanto rinviano l'entrata in vigore della riforma Cartabia che contiene importanti innovazioni».

E sul tema si conferma l’asse con il M5S, così come avvenne due anni fa: «Continuo a non essere favorevole a questa proposta che ormai viene ciclicamente avanzata da esponenti di Forza Italia ogni volta che ricorre un processo di Berlusconi - ha sottolineato Stefania Ascari, membro della Commissione Giustizia -. Non è ammissibile una commissione di inchiesta parlamentare con il compito di indagare su un altro potere dello Stato. È un confine che non va superato. Il principio della separazione dei poteri è sacro ed è alla base della democrazia. La magistratura ha già i propri organi di autogoverno e di controllo previsti dalla Costituzione. Allo stesso modo - ha concluso -, in nessun caso ritengo accettabile l’uso ad personam della legge. Abbiamo temi più urgenti e di interesse collettivo su cui concentrarci. Penso alla lotta alle mafie, all’evasione fiscale, alla violenza sulle donne. Penso alla sicurezza sul lavoro, al caro vita, ai sostegni a famiglie e imprese. I cittadini attendono risposte a queste domande».