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Milano, Incidente Probatorio in Questura per il caso dell’omicidio di Chiara Poggi Garlasco
Parecchie volte in queste settimane, da amici, conoscenti o anche da chi semplicemente incontro e sa che ho fatto il magistrato, mi sono sentito rivolgere questa domanda: “E Garlasco? Cosa ne pensi di Garlasco?”. Rispondo sempre che non ne so niente e che, come per tutti, quello che penso vale meno di una opinione. E taglio così il discorso.
I giornalisti hanno certamente il diritto di scrivere e i cittadini il diritto di essere informati su ciò che avviene, ma l’uccisione di una giovane ragazza non è una partita di calcio da seguire minuto per minuto parteggiando come tifosi per i possibili esiti dell’indagine, l’assassino è già stato condannato, l’assassino è un altro o forse erano più persone e così via. I servizi televisivi – ormai a puntate come le fiction – e gli articoli insistono su tutti i particolari, sangue, impronte, il percorso del corpo della vittima, la ricerca dell’arma usata, forse un martello, tutto come in un film splatter, i film dell’orrore americani.
Sembra questa volta che non siano i magistrati, senza qui giudicare se le indagini da loro svolte in passato siano state o meno complete, ad essere i protagonisti e ad occupare impropriamente i mass media. Coloro che alimentano le interviste televisive e sulla stampa sono, purtroppo, soprattutto avvocati, esperti in tecniche scientifiche o presunti tali, criminologi e persone che in qualche modo si sono trovate intorno alla vicenda e possono riferire solo sensazioni e pettegolezzi.
In realtà è solo spettacolo, una specie di intrattenimento, perché ogni “novità” fornita al pubblico, che farebbe propendere la bilancia della colpevolezza su uno dei soggetti coinvolti, non consente affatto il formarsi di una vera conoscenza. Infatti in vicende così complesse solo la padronanza di tutti gli atti e l’intersecazione di tutti gli elementi – anche le prove scientifiche devono essere interpretate alla luce tutto il resto – può permettere, e non sempre si riesce, di avere un quadro fondato di quanto accaduto. Certo non uno spettacolo televisivo.
Dal punto di vista delle indagini e dei processi, la quotidiana pressione mediatica non aiuta in alcun modo. Al contrario in casi simili, quando nei mass media partono i processi paralleli, si forma spesso nella pubblica opinione un partito colpevolista nei confronti di qualcuno, e gli stessi investigatori possono essere condizionati, sentirsi inconsciamente chiamati a dare una risposta e quella risposta che è preferita dalla pubblica opinione. Insistere su un bersaglio sbagliato, avere un colpevole quale che sia.
So poi per esperienza che il palcoscenico mediatico attira i testimoni fantasiosi e allontana invece i testimoni veri, spaventati dall’immediata pubblicità di quanto possono dire. E questo è un altro danno, e spesso irreparabile.
È curioso poi che gli stessi quotidiani che negli editoriali dei loro più raffinati giornalisti deplorano quello spettacolo mediatico dedichino poi ugualmente pagine e pagine alla cronaca delle “ultime novità” sul mistero della villetta di Garlasco. Evidentemente la pura logica di mercato prevale sempre. In questa situazione, almeno la televisione, in quanto servizio pubblico, dovrebbe capire l’esigenza morale e anche il buon gusto di un self- restraint, evitare i processi parodia sullo schermo.
Parlando di un altro caso non meno atroce, trovo anche terrificante sul piano della sensibilità umana che su alcuni importanti quotidiani sia stata pubblicata la fotografia del presunto duplice omicida di Roma con in braccio, ben visibile, la bambina due giorni prima che fosse trovata strangolata in un prato di Villa Pamphili. Non c’era alcuna ragione di vedere quell’immagine perturbante.
Probabilmente Garlasco sarà ancora nelle locandine dei quotidiani e dei settimanali per tutta l’estate. Ma bisogna fermare questa spettacolarizzazione del male che ha ben poco a che fare con l’informazione e la degrada a curiosità morbosa. Non ne abbiamo alcun bisogno per rispetto della giustizia e soprattutto delle famiglie comunque coinvolte in quella tragedia. Mi piacerebbe non leggere più di quelle indagini sino a quando non saranno concluse. Sarebbe un segno di civiltà.