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Marco Cappato, Filomena Gallo in occasione della consegna in Senato di 74.000 firme raccolte dall'associazione Luca Coscioni per la proposta di legge di iniziativa popolare per legalizzare tutte le scelte di fine vita, compresa l'eutanasia attiva. Senato a Roma Martedì 15 Luglio 2025 (foto Mauro Scrobogna / LaPresse) Marco Cappato, Filomena Gallo presenting the 74,000 signatures collected by the Luca Coscioni Association to the Senate for the popular initiative bill to legalize all end-of-life decisions, including active euthanasia. Senate in Rome Tuesday July 15 2025. (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
Ad oggi non esiste in Italia un dispositivo medico tale da equiparare l’eutanasia al suicidio assistito per l’autosomministrazione del farmaco letale da parte di un paziente completamente paralizzato. Sono le conclusioni a cui sono giunti il ministero della Salute, l’Istituto Superiore di Sanità e il Consiglio Superiore di Sanità nei pareri tecnici richiesti dal giudice di Firenze dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale sul caso di “Libera”.
La 55enne toscana, paralizzata dal collo in giù a causa della sclerosi multipla con cui convive da 18 anni, aveva fatto richiesta di accesso al suicidio assistito. E dopo la verifica dei quattro requisiti di accesso previsti dalla sentenza Cappato/Dj Fabo della Consulta, aveva ottenuto il via libera dalla sua Asl a luglio 2024. Non potendo assumere il farmaco in autonomia, lo scorso marzo – tramite il collegio difensivo dell’Associazione Luca Coscioni - “Libera” ha presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Firenze affinché il suo medico fosse autorizzato a somministrarglielo.
Il giudice aveva quindi sollevato la questione di legittimità costituzionale sull’articolo 579 del codice penale che configura il reato di omicidio del consenziente, certificando l’impossibilità di reperire sul mercato la strumentazione necessaria, cioè una pompa infusionale attivabile attraverso la bocca, gli occhi o un comando vocale. La Consulta, a luglio, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità, e – rilevando un difetto di motivazione da parte del giudice - ha disposto con urgenza la verifica a livello nazionale e internazionale, e non solo regionale, dell’esistenza di dispositivi idonei all’autosomministrazione del farmaco.
I pareri tecnici sono arrivati nei termini ordinati dal giudice di Firenze, che si esprimerà a giorni, ma hanno dato esito negativo. «Devo constatare quindi che non esiste una soluzione per me e che non c’è alcuna garanzia che possa essere realizzato un dispositivo idoneo in tempi compatibili con il mio livello di sofferenza – ha dichiarato “Libera” -. Il limite della sopportazione umana del dolore fisico e psichico, per quanto mi riguarda, è stato superato. La mia volontà e richiesta di essere aiutata a morire hanno assunto un carattere di urgenza assoluta e non più rinviabile. Chiedo che venga immediatamente autorizzata l’unica modalità di assistenza compatibile con la mia richiesta: l’aiuto medico alla somministrazione della sostanza letale. In mancanza di tale autorizzazione, ogni ulteriore rinvio sarà per me equivalente a un diniego, di fronte al quale mi vedrò costretta a intraprendere un’altra strada, a effetto immediato».
«A Libera è già stato riconosciuto il diritto a essere aiutata a morire, ma ora sta subendo una odiosa discriminazione per le sue condizioni di totale disabilità che le impediscono l'assunzione del farmaco letale per potere interrompere la condizione di sofferenza insopportabile – commenta Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni -. Se lo Stato italiano non troverà il modo di porre immediatamente fine allo scaricabarile istituzionale contro Libera, ci assumeremo la responsabilità di aiutarla con azioni di disobbedienza civile contro la violenza che sta subendo».