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Il carcere che conosciamo ha poco più di due secoli: progresso rispetto a pene corporali, mutilazioni, deportazione e pena capitale, spesso con supplizi aggiuntivi. La storia è di riforme per una pena più rispettosa della dignità delle persone e più idonea a prevenire la recidiva; soprattutto limitarla come extrema ratio per i reati più gravi e allargare le possibilità di pene alternative. Ma è anche storia di regressi di fronte a gravi fatti di criminalità, e ancor più di fronte alle campagne “law and order”.
Sono gli Stati Uniti la democrazia che più paga lo scotto di queste campagne. Permane la barbarie della pena di morte, che i democratici non hanno mai avuto il coraggio di affrontare alla radice, limitandosi alle “moratorie”, facilmente spazzate via da repubblicani al potere. Non caso uno dei primi atti della seconda presidenza Trump è stata la ripresa delle esecuzioni al livello federale. Il democratico Clinton aveva introdotto con three strikes and you are out un truculento trattamento della recidiva. Risultati, a tacere delle persistenti discriminazioni razziali: tasso di carcerazione dieci volte più alto della media europea, condizioni carcerarie spesso durissime e inumane cui corrispondono tassi di criminalità violenta elevatissimi rispetto all’Europa.
Ma i “cattivi maestri” d’oltre oceano hanno ora seguito da noi con “decreti sicurezza”, indefessa introduzione di nuovi reati e aggravamento delle pene. Il sovraffollamento carcerario ha radici lontane ma il nuovo clima “legge e ordine” lo ha aggravato. “Legge” sono modifiche legislative irrazionali e talora controproducenti, “ordine” sono iniziative che nessun beneficio portano in termini di sicurezza ed anzi contrastano quelle misure, come le pene alternative al carcere, che si sono dimostrate le più idonee alla prevenzione della recidiva. Eppure la riduzione della recidiva attraverso misure che preparino e facilitino il reinserimento nella società è la migliore ricetta per promuovere la sicurezza effettiva. E’ stata lanciata una lettera aperta alle massime autorità dello Stato, da Gian Luigi Gatta, presidente dell'Associazione italiana professori di diritto penale, Cesare Parodi, presidente dell'Associazione nazionale magistrati e Francesco Petrelli, Presidente dell'Unione Camere Penali italiane con una serie di proposte sull'emergenza carcere. Accanto a riforme di più lungo periodo, in primo piano una proposta di immediata attuazione: “Misure di deflazione carceraria: estensione della liberazione anticipata per i detenuti che si trovino nella parte finale dell'esecuzione della pena e che abbiano dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione.”L’appello così rilevante, per il contenuto e per i firmatari, non ha avuto alcun risconto.
Il Ministro Nordio, che ha firmato tutte le leggi carcero-centriche, ha opposto una chiusura totale alla liberazione anticipata allargata. Non solo ha mantenuto le deleghe nel settore penitenziario al Sottosegretario Delmastro, quello che il 16 novembre 2024 aveva espresso 'Una gioia non lasciare respirare chi sta nell'auto della penitenziaria”, ma sembra averne anche adottato la filosofia: “Nella mia persona convivono entrambe le pulsioni sia quella garantista che quella giustizialista a corrente alternata, secondo le necessità” (14 marzo 2025).
Ora in questa alternanza il Nordio, al momento “garantista”, indica come immediata decisiva misura per il sovraffollamento carcerario la riduzione della custodia cautelare: nobile condivisibile proposito, ma che una attenta analisi dei dati dimostra del tutto ininfluente allo scopo immediato. Siano prudenti i Pm nel richiedere misure cautelari, siano prudentissimi i Gip nel concederle solo nei casi strettissimamente necessari. Sia vigile l’opinione pubblica e la stampa nella attenzione e nella critica. Ma non creiamo confusione con dati e false aspettative.
Al 31 luglio 2025 detenuti presenti 62.569, di cui 9.021 in attesa di primo giudizio, 3.422 appellanti, 1.697 ricorrenti in cassazione e 758 “misti”. Il totale dei detenuti in attesa di sentenza definitiva ( compresi appellanti e ricorrenti per cassazione) è il 23,81%, dato in linea con la media europea, peraltro fortemente influenzato per l’Italia da possibilità di appello e di ricorso per Cassazione molto più ampi di quelle previste in altri paesi. Il dato più rilevante è quello dei detenuti in custodia cautelare in attesa di primo giudizio: 14.42% Tutti vorremmo giudizi più rapidi, ma questa percentuale è la più bassa degli ultimi decenni. Di quel 14,42 % una percentuale significativa ( non abbiamo un dato preciso) è costituita dagli arrestati in flagranza per i reati cosiddetti di strada, arresti convalidati, ma in attesa di giudizio. Solo il residuo è costituito dai detenuti per ordinanza del Gip su richiesta del Pm.
Inoltre, tra questi detenuti in attesa di giudizio vi sono imputati per reati di grave allarme sociale (es. rapinatori seriali, trafficanti di droghe) che nessuno vorrebbe rimanessero in libertà. Se lo valutiamo con un minimo di attenzione, il dato del 14,42% dei detenuti in attesa di primo giudizio è in parte non riducibile e comunque marginale nel determinare il complessivo sovraffollamento, a dispetto di quanto dice il Ministro. Un classico esempio di parlar d’altro, per evitare di affrontare il nodo della questione.
Lo stato delle carceri è intollerabile per il dramma dei suicidi. Situazioni difficili per la polizia penitenziaria. L’incattivimento nelle condizioni di detenzione, il “non lasciamoli respirare” è il più forte incentivo alla recidiva. Irrazionale, ingiusto e anche controproducente sulla effettiva sicurezza. Civiltà nelle galere non è buonismo, ma investimento sulla sicurezza, attraverso incentivo al reinserimento nella società. Qualcuno riesce a spiegarlo al Ministro Nordio, in questa fase “garantista”?