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«È un processo che si connota per una eccezionalità patologica, per una degenerazione mediatica». Dopo aver denunciato l’indagine a suo carico per «delitto di difesa», il professor Oliviero Mazza ha concluso la lunga serie di arringhe del processo “Angeli e Demoni” chiedendo l’assoluzione di Federica Anghinolfi (che difende insieme a Rossella Ognibene), ex responsabile dei Servizi sociali della Val d’Enza, accusata di reati che vanno dal falso ideologico alla frode processuale, per un totale di oltre 60 capi di imputazione. «Ho conosciuto la mia assistita guardando il tg, ho sentito per la prima volta la sua voce perché venivano mandati in onda i suoi audio, prima di incontrarla di persona. Ed è entrata nella storia quell’ordinanza che le consentiva di tornare in libertà in virtù della distruzione mediatica dell’immagine della sua immagine». Un’ordinanza che parlava di un «cordone sanitario» attorno agli indagati, praticamente dei reietti. Mazza ha sottolineato anche la strumentalizzazione politica del caso: è un dato oggettivo che «l’avviso di conclusione delle indagini è arrivato 7 giorni prima delle Regionali», nonostante il vero risultato investigativo «sia stato acquisito dopo». In quel contesto, Matteo Salvini, che molto ha cavalcato la vicenda, chiuse la campagna elettorale proprio davanti al Municipio di Bibbiano, con lo slogan “parlateci di Bibbiano”. Altra anomalia è stata l’audizione della pm Valentina Salvi al Parlamento e del maresciallo Giuseppe Milano a indagini in corso e in «forma assertiva» in relazione ai reati del processo. Un processo che «è stato anche uno stimolo importante per modificare le norme sulla presunzione d’innocenza», come i nomi delle indagini. «“Angeli e Demoni” è un titolo molto evocativo - ha sottolineato -, ma secondo me anche corretto, perché dà l’idea di questa impostazione manichea: male e bene, aprioristica». Ottocento i casi trattati dai Servizi, ma solo otto quelli a processo. «Quando si parla di sistema forse bisognerebbe dare un significato preciso alle parole - ha sottolineato Mazza -. Forse questi cacciatori di abusi, ossessionati e visionari, hanno agito in modo del tutto inefficace se hanno scoperto solo otto casi su 800». Una dimostrazione della «impostazione massimalista che poi ha portato alla demonizzazione degli imputati», con una «degradazione mediatica» costante degli imputati. Ma è stato anche un «processo alla scienza», con «le superstizioni medioevali che ritornano» insieme alle «streghe cattive», e, soprattutto, un attacco al modello di welfare dell’Emilia. Ma il processo è difesa «della persona» e «non si può distruggere la vita delle persone sulla base di un teorema, perché questo è Bibbiano, un teorema indimostrato».
Per Anghinolfi la pm ha chiesto 15 anni e mezzo, una pena spropositata, ha detto Mazza, in un «maxiprocesso fondato su micro imputazioni». Anghinolfi è stata delineata «quasi come un capo promotore» di un’associazione che però nessuno ha contestato, perché non ci sono gli elementi. Mazza ha evidenziato l’anomalia degli «omessi depositi della pm», l’impossibilità di sentire in contraddittorio le presunte persone offese, i bambini», pur essendo contestate le lesioni, mai spiegate scientificamente. «Non ho mai visto un processo in cui gli accertamenti tecnici non avvengano nelle forme del contraddittorio», ha evidenziato ancora il legale. Ma sono tante le stranezze, come il numero spropositato di testi indagabili - circa 10 - un caso più unico che raro, una patologia dietro la quale «non vorrei si nascondesse una scelta - ha evidenziato Mazza -, cioè che il pm abbia deciso, volutamente o non, di risparmiare alcuni indagati. Mi auguro sia stata solo una svista». E poi la rinuncia delle difese a tutti i testi, perché l’onere della prova, ha ricordato il legale, spetta all’accusa. «Le indagini della pm hanno scontato una gravissima lacuna informativa nella prima parte, basata solo sui racconti dei familiari dei bambini» e successivamente non è stata presa in considerazione «l’interezza delle prove documentali». Ma è l’acquisizione dei device che ha «destrutturato l’accusa».
Ma non solo: Salvi, audita in Parlamento, ha ammesso che le famiglie di quei bambini non erano «da Mulino Bianco». Ma nessuno ha mai indagato sul perché quei bambini siano stati allontanati. «Noi sappiamo che proprio per visione normativa i Servizi devono intervenire sulla base del sospetto abuso o maltrattamento - ha sottolineato -. Allora il sospetto non può essere lasciato fuori dalla porta» e, soprattutto, non può essere accusato di falsità. «È una sentenza che dovrebbe forse fare giustizia per quei bambini, quei soggetti vulnerabili, che avevano intrapreso un percorso di miglioramento della loro situazione esistenziale e abbiamo evidenze che dopo gli interventi dei Servizi questi bambini miglioravano - ha aggiunto Mazza -. Quindi non solo non è stato un trattamento lesivo, ma una ripresa da una situazione di partenza grave, di un disagio che poteva pure in apparenza denotare un abuso».
Mazza ha smontato l’accusa di falso ideologico, l’asse portante di questo processo. «La falsità è riferita, giocoforza, a una verità. Se vogliamo affermare che un documento è falso dobbiamo dimostrare il vero - ha evidenziato -. La verità della pm è purtroppo soggettiva, di comodo. Questa verità soggettiva è quella che trae dai racconti dei familiari di Bibbiano». Soggetti interessati tre volte a «fornire verità di comodo»: in primo luogo perché quei familiari erano accusati di abuso o maltrattamento, poi perché genitori di quei bambini e terzo per questioni economiche. «La pm avrebbe dovuto ricostruire il vero oggettivo e non lo ha fatto, lo abbiamo fatto noi», ha evidenziato Mazza. La scelta di sentire solo le persone offese «mi ricorda il mito della caverna di Platone. Nel corso del processo il pm è dovuto uscire dalla caverna e ha visto che le ombre non sono reali. Però non ha cambiato opinione». La moltiplicazione delle accuse, ha poi sottolineato Mazza, «determina un fenomeno ormai noto, che è l’abuso del processo», che incide «inevitabilmente sul fair trial». Mazza ha inoltre evidenziato come gli assistenti sociali non hanno come compito istituzionale quello di ricevere dichiarazione o accertare la ricezione delle stesse. «Le relazioni non sono destinate a provare la veridicità delle dichiarazioni - ha aggiunto -. Non sono verbali di sommarie informazioni. Il narrato dei soggetti interessati è riportato alla stregua di un dato fattuale» e la valutazione dei Servizi non è vincolante per il Tribunale per i Minorenni. Ma è stata la stessa Salvi, in audizione, ad ammettere che i servizi non sono destinati all’accertamento della prova in quanto non sono ufficiali di pg. L’intervento è stato comunque sempre determinato da «interventi esogeni» - la scuola, i medici, gli stessi genitori - e mai stato autodeterminato. «Quindi i cercatori di abusi ad ogni costo non si sono mai attivati d’ufficio», ha aggiunto. Con il cambio di imputazione e la contestazione dell’aggravante della fidefacenza, ha poi aggiunto Mazza, «l’obiettivo era evitare la prescrizione». E anche questo, ha aggiunto, «è abuso di processo».
Ma è stata la stessa pm a scagionare «drammaticamente» i servizi e a distruggere il dolo, affermando che gli imputati erano fermamente convinti degli abusi. «Nei confronti della mia assistita c’è stato un accanimento accusatorio - ha concluso -. Ma si tratta di una persona di estrema onestà».