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«Due ore fa i carabinieri si sono rivolti al mio studio per notificarmi l’avviso di conclusione delle indagini per il delitto di calunnia che avrei commesso in concorso con la collega Rossella Ognibene ai danni della dottoressa Salvi e delle dottoresse Rossi e Francia, nel corso dell’udienza dell’otto aprile 2024. E questo provvedimento giudiziario in realtà ci era già stato notificato il 20 di maggio 2025, quando la procura di Ancona il giorno prima ha depositato in segreteria l’avviso di conclusione da indagini e ha incaricato espressamente il difensore d’ufficio di effettuarci una notifica in modo del tutto irrituale, ma evidentemente efficace. Tant’è che il 20 di maggio, quindi, nel pieno della nostra discussione finale, abbiamo ricevuto questa comunicazione giudiziaria».
Inizia così, in modo irrituale, la discussione del professor Oliviero Mazza nel processo sui presunti affidi illeciti in Val d’Enza. Una deviazione resa necessaria dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini per il reato di calunnia, per aver sollevato, in udienza, un’eccezione sulla legittimità delle consulenze delle dottoresse Elena Francia e Rita Rossi. Eccezione rigettata, all’epoca, dal collegio, ma che il procuratore Gaetano Paci ha deciso di segnalare ad Ancona, ipotizzando che i difensori avrebbero accusato Salvi di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto.
Una questione diventata di dominio pubblico e, dunque, fonte di discredito per l’attività di Salvi, che, ha scritto Paci nella sua lettera di trasmissione, sarebbe stata definita “criminosa”. Paci ha trasmesso il tutto a modello 45, «quindi per fatti che non hanno rilevanza penale - ha sottolineato Mazza in udienza, mentre tutti i colleghi, compresi quelli di parte civile presenti, si sono alzati in piedi indossando la toga in segno di protesta - e al tempo stesso ha trasmesso questi atti alla procura di Ancona ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale. Il dottor Paci, nella nota di trasmissione, afferma espressamente che io e la collega Ognibene avremmo definito, tra virgolette e in corsivo, criminosa l’attività svolta in questo processo dalla dottoressa Salvi. Noi siamo sicuri di non aver mai usato l’aggettivo criminosa riferita all’attività del pubblico ministero che abbiamo contestato anche oggi in modo aspro, ma credo nel legittimo esercizio di un diritto fondamentale, che è il diritto di difesa».
Il procedimento è per Mazza un atto oggettivamente «in grado di limitare la libertà di autodeterminazione dei difensori e quindi di incidere su quel diritto fondamentale che la Costituzione vorrebbe inviolabile». Mazza ha deciso di denunciare pubblicamente la vicenda anche in relazione ai possibili profili di incompatibilità. «Abbiamo scelto di rimanere qui in udienza a svolgere il nostro ministero innanzitutto per garantire alla nostra assistita la miglior difesa», ma anche per via della «serenità» che deriva «dalla consapevolezza della manifesta infondatezza dell’accusa che ci viene rivolta».
L’accusa di calunnia «attinge proprio all’esercizio della difesa»: Mazza e Ognibene, infatti, avevano contestato la legittimità della presenza delle consulenti durante le audizioni dei minori nel 2018, prima che venisse loro conferito un incarico formale. «A che titolo hanno partecipato - scriveva il Dubbio all’epoca facendo la cronaca dell’udienza -, visto che vengono nominate consulenti solo nel 2019? O erano ausiliari del pm, e in quel caso sarebbero incompatibili con la consulenza tecnica, o non avevano titolo per partecipare alle sit, il che rappresenterebbe una violazione del segreto».
Un ragionamento ipotetico, compreso pienamente dal Tribunale, che nella sua ordinanza, al paragrafo 1.3, scriveva testualmente «che le consulenti non potrebbero non essere ritenute ausiliarie, in quanto altrimenti si tratterebbe di soggetti privati che sarebbero venute a conoscenza senza alcun titolo di atti segreti di un procedimento penale, configurandosi, pertanto, a loro carico il reato di cui all’art. 326 c.p. o quello di cui all’art. 323 c.p. e conseguente necessità di assumere la loro testimonianza ai sensi dell’art. 210 c.p.p.». Nella chiusura delle indagini compare però soltanto l’ultima parte di un ragionamento con «una struttura condizionale che ipotizzava tre scenari», per arrivare alla conclusione che le consulenti erano incompatibili in quanto ausiliari, così come scritto, peraltro, dallo stesso pm di Ancona nella delega alla polizia giudiziaria. «Abbiamo valutato con attenzione la nostra compatibilità escludendo la fondatezza della notizia di reato - ha concluso Mazza -, a meno che, mi si consenta la battuta, non sia stato introdotto nell’ordinamento penale il delitto di difesa».
Il deputato di Forza Italia Enrico Costa ha invece presentato un’interrogazione a Nordio su questa vicenda, che ha definito «un fatto gravissimo». Nella sua interrogazione, Costa ha sottolineato che «la tempistica di tale attività costituisce un atto oggettivamente idoneo a comprimere la libera e piena espressione del mandato difensivo, in violazione ad ogni principio fondante lo Stato diritto». Considerata «la evidente compressione del diritto di difesa garantito dalla Costituzione, nonché l’utilizzo strumentale dei poteri della pubblica accusa che, questo sì, deve essere oggetto di un attento vaglio sotto ogni profilo», il deputato chiede «se il ministro non intenda far luce sulla vicenda» mediante «l’attivazione dei propri poteri ispettivi».
In chiusura di udienza è intervenuto anche l’avvocato Nicola Canestrini, dell’Osservatorio avvocati minacciati dell’Ucpi. «L’iniziativa giudiziaria della procura di Reggio Emilia è un atto gravemente lesivo del diritto di difesa, un principio inviolabile e pilastro dello Stato di diritto. Si tratta di un precedente pericoloso, che evoca scenari autoritari, dove l’esercizio della funzione difensiva è sotto minaccia costante. L’avvocata o l’avvocato che pone una questione tecnica in aula non può finire sotto inchiesta. Chi attacca la difesa, mina la giustizia. Senza avvocati liberi non esiste processo giusto, e senza processo giusto non c’è Stato di diritto».