«Non sono qui per difendere una persona, ma per difendere un sistema di cura». Continua l’arringa dell’avvocata Rossella Ognibene, che ancora una volta ha ricostruito in aula, con tenacia, tutte le relazioni contestate di falsità dalla procura di Reggio Emilia nel processo sui presunti affidi illeciti, ormai agli sgoccioli. Un lavoro certosino, con il quale ha ricollocato nel loro contesto, completamente ricostruito, tutti i messaggi e le intercettazioni che, secondo la difesa, erano stati usati in maniera parziale dall’accusa, in questo modo di fatto restituendo una storia diversa da quella delineata dalla pm grazie ad indagini difensive svolte dai legali della dottoressa Anghinolfi.

Ognibene è ripartita dal caso dei fratelli O., contestando, in particolare, l’uso travisato di mail e relazioni mediche per costruire l’accusa di falso ideologico. Ad esempio, in merito a una mail dell’8 giugno 2015, spiega Ognibene, «viene estrapolata solo una parte del contenuto, omettendo che i medici parlavano di “sospetto”, non di certezza, riguardo al fatto che le accuse mosse dalla madre (che in ospedale aveva parlato di sospetto abuso del marito sulla figlia, ndr) fossero influenzate» dai suoi problemi psicologici.

Inoltre, molte relazioni di assistenti sociali e psicologi non erano allegate nei documenti processuali in modo completo o coerente, mentre alcuni contenuti sarebbero stati travisati. Proseguendo nella illustrazione della difesa, viene fatto riferimento alla visita psichiatrica specialistica per dimostrare che non vi era una condizione attuale di malattia psichiatrica della madre al momento dei fatti contestati: «Non si parla di attualità della patologia psichiatrica». I bambini, descritti come silenziosi e passivi, avevano notevoli difficoltà relazionali ma una comprensione almeno parziale della lingua italiana e mostravano capacità relazionali più complesse di quanto affermato.

Sul tema della deprivazione emotiva dei bambini al momento dell’allontanamento, si trattava di una valutazione fondata su numerosi dati documentali. La difesa ha portato diversi elementi che confermano la situazione di difficoltà della bambina di 5 anni: certificazioni di frequenza all’asilo, sono di alcuni anni prima dell’allontanamento, e non più prosecuzione di inserimento in scuola materna, ma una collocazione in lista di attesa senza ricercare il posto in altri asili del comune di residenza. Sono poi state ricostruite le testimonianze su condizioni migliorate dei bambini nel periodo di affido e relazioni di psicologi che confermano progressi significativi. Un altro punto critico è l’accusa alla madre di incapacità genitoriale basata sul fatto che fosse nuovamente incinta mentre era in terapia psichiatrica. La difesa sottolinea che si tratta di una valutazione medica di rischio, non di una “attestazione di verità”: «Non è incapacità ad avere figli, ma una valutazione sulla necessità di controllo medico in gravidanza mentre si assumono psicofarmaci».

Infine, viene messo in discussione il metodo e la validità di alcune consulenze psicologiche, tra cui una valutazione che ha diagnosticato un disturbo post-traumatico alla bambina in un solo colloquio di pochi minuti, considerata non utilizzabile perché effettuata in assenza delle difese e, quindi, senza contraddittorio.

Nel corso della discussione, Ognibene ha sottolineato come sia specifico compito dei Servizi assecondare la volontà del bambino, nel caso in cui non abbia il desiderio di incontrare i genitori. «Non si porta il bambino tirandolo per gli stracci se non vuole vederli», ha chiarito.

La legale ha affrontato anche il caso di A. B., la bambina che, a scuola, aveva dichiarato di sentire la mancanza del sesso con il compagno della madre. La relazione descrittiva su A. non è oggetto di accusa di falso ideologico, tranne che per la parte relativa al disegno, secondo l’accusa modificato dalla psicologa Imelda Bonaretti. Il compito della relazione non era ricostruire tutta la storia familiare, ma descrivere lo stato attuale della minore. Tra gli indicatori di rischio, le dichiarazioni circa il sesso, frasi come “Voglio buttarmi dalla finestra”, “Non posso parlare con nessuno”. La pm sostiene che la relazione contenga falsità, ma nella stessa non ci sono alcune delle frasi che la pm ritiene false; e tutte le altre frasi sono collegate a fatti veri.

Il capo che contesta lesioni dolose gravissime, secondo la difesa, è indeterminato: si parla di “procedere illegittimamente all’allontanamento” senza spiegare in cosa consista l’illegittimità. Inoltre, l’allontanamento avvenne su decreto del Tribunale, non per iniziativa del servizio.

La pm aveva richiamato la sofferenza di A., ma questa è smentita dalla maestra Bassi che la descrive tranquilla e da messaggi tra operatori. Dopo l’allontanamento, A. era più attiva e adeguata all’età, un miglioramento confermato dalla cartella clinica. Successivamente, nel 2023, dopo 4 anni dall’avvenuto rientro in famiglia di origine è peggiorata nuovamente, a causa di ansia e attacchi di panico per la scuola, non per il timore di essere allontanata.

Poi, a lungo, la legale ha affrontato il caso di K., la bambina data in affido ad una coppia omogenitoriale, dopo che la minore aveva chiamato i carabinieri perché lasciata da sola in casa dai genitori. La difesa ha sollevato con forza la questione dell’indeterminatezza delle imputazioni, in particolare per i capi 1 la relazione di allontanamento e 98 la accusa di lesioni gravi. Secondo quanto sostenuto, il pubblico ministero non ha mai chiarito in cosa consisterebbe l’illegittimità dell’allontanamento della minore. L’intervento dei servizi avvenne infatti con un provvedimento ex art. 403, che venne ratificato regolarmente dal Tribunale per i Minorenni e successivamente dal Tribunale Ordinario, nell’ambito della causa di separazione dei genitori. Non solo: al termine dell’istruttoria, lo stesso Tribunale ordinario confermò in toto le decisioni già prese dal tribunale minorile. È quindi evidente, secondo la difesa, che l’operato dei servizi e dei tecnici incaricati fosse non solo legittimo, ma anche sostenuto da provvedimenti giudiziari.

Un altro punto critico è rappresentato dalla consulenza della dottoressa Elena Francia, la cui utilizzabilità viene contestata perché fondata su un accertamento irripetibile, non ripetuto con le garanzie dovute, e su una situazione psicologica in continua evoluzione che avrebbe richiesto una metodologia diversa. La perizia, insomma, non rispetta i criteri per poter essere considerata una prova attendibile in un procedimento penale.

Dal punto di vista clinico, K. presentava una diagnosi di disturbo dell’attaccamento disorganizzato, confermata da due professionisti: la dottoressa Bonaretti e il dottor Giuseppe Bresciani. Quest’ultimo, in particolare, ha seguito la minore per diversi mesi, con almeno una decina di incontri, durante i quali ha somministrato anche test standardizzati. La diagnosi non lascia spazio a interpretazioni: la sofferenza psicologica di K. non è frutto dell’allontanamento, ma si radica molto prima, in quella finestra fragile che va dai due ai quattro anni di vita. È lì che si colloca, secondo i clinici, il trauma abbandonico alla base del suo disturbo. Dunque, l’idea che l’intervento dei servizi sociali abbia causato un danno psichico irreparabile è, a detta della difesa, non solo infondata, ma anche rovesciata dalla realtà clinica.

Inoltre, la terapia svolta dalla psicoterapeuta Nadia Bolognini ha avuto effetti positivi, riconosciuti anche da Bresciani, il quale ha escluso che la minore abbia subito condizionamenti nella formazione del suo racconto. La narrazione di K., anche nei suoi aspetti più duri, è ritenuta autentica. Lo dimostrano non solo i test clinici, ma anche le sue stesse parole, raccolte dalla preside della scuola e dalle affidatarie. In più, vi sono riscontri ambientali e intercettazioni che rafforzano ulteriormente la coerenza del suo vissuto, confermando episodi di disagio profondo, comportamenti sessualizzati e aggressivi, e persino gesti crudeli verso animali, che nulla hanno a che fare con influenze scolastiche o condizionamenti esterni, come invece sostiene la pm.

La difesa ha voluto anche ricostruire il contesto familiare da cui K. proveniva, un ambiente segnato da episodi gravi di violenza assistita e trascuratezza. Il percorso di cura e gli anni passati nell’affido eterofamiliare hanno migliorato in modo evidente il suo equilibrio. A seguito di condotte dei genitori che hanno creato vissuti di paura della minore è stata disposta la sospensione degli incontri, perché la minore ha espresso la paura di essere uccisa dai suoi genitori. Una paura concreta e un vissuto di minaccia che la minore ha espresso anche al Ctu dottor Bresciani, nominato nella fase di incidente probatorio nel procedimento penale contro la madre; negli incontri con il CTU la minore aveva riportato questa paura come parte integrante del suo vissuto e che rende infondata ogni accusa rivolta ad Anghinolfi di aver contribuito a creare quel clima di diffidenza.

Per quanto riguarda Bresciani, lo stesso «non riceve il racconto di K., ma il vissuto di K.. E le emozioni non si possono falsificare – ha spiegato Ognibene –. Bresciani era addetto ai lavori e riusciva a capire se la bambina parlava per vissuto personale e in quel vissuto Bresciani ha riscontrato tutto quello che il servizio, nel corso del tempo, aveva illustrato su K., situazioni preesistenti all’allontanamento e derivanti dal disturbo dell’attaccamento che K. ha vissuto nei primi anni di vita in famiglia. Era uno stato di sofferenza legato a una patologia di maltrattamento preesistente all’allontanamento». La finestra temporale in cui si struttura il trauma abbandonico è, infatti, tra i 2 e i 4 anni di vita: il giorno dell’allontanamento K aveva 9 anni. «Il disturbo si era già concretizzato – ha spiegato la legale –. Gli eventi sfavorevoli erano nella sua famiglia di origine. Attribuirlo agli operatori non è fondato».

A conferma della fragilità dell’impianto accusatorio, va anche ricordato che Anghinolfi non ha mai incontrato K. di persona. L’ipotesi che abbia contribuito a ledere la salute psichica della minore attraverso una denigrazione indiretta dei genitori appare, alla luce di tutti questi elementi, del tutto priva di fondamento. Per la difesa, insomma, non solo le accuse non sono provate: sono state formulate su presupposti che i documenti clinici, le testimonianze raccolte e i dati di fatto smontano punto per punto.

Per l’accusa, la bambina sarebbe vittima di lesioni, essendo il suo stato psicologico alterato a seguito dell’intervento di Servizi e psicologa. Ma «non vi è una spiegazione che consenta le difese di comprendere in cosa sarebbe consistito un’alterazione dello stato psicologico, che non equivale a malattia, non equivale a falso ricordo – ha evidenziato la legale –. Inoltre nel nostro ordinamento il reato di plagio è stato riconosciuto incostituzionale. Sarebbe stato utile, da parte della pm, illustrare l’evento che muta la situazione di K.». Ma ciò non è avvenuto.

Inoltre, non c’era alcuna denigrazione delle figure genitoriali, la quale, peraltro, non è stata dimostrata nel corso del dibattimento. «A K. venivano consegnati regali e lettere», ha sottolineato Ognibene, mentre gli incontri protetti venivano fatti e «non si può di certo dire che non si volesse mantenere un legame». I riscontri «sono a favore di quello che il servizio ha relazionato, cioè che non c’era la comunicazione dei genitori col servizio, non viceversa. E quando il padre ha dovuto portare il regalo con la lettera per il compleanno della figlia, quel regalo è stato consegnato».

Ognibene ha chiuso con le dichiarazioni dell’assistente sociale Loredana Soldivieri, che ha riferito di un incontro tra il padre e K. in comunità: in quell’occasione, lui le raccontò che sapeva tutto prima degli altri, delle cimici, delle intercettazioni, «suscitando in K. stupore e ammirazione». Sapeva «tutto di dov’era e come stava, ma doveva aspettare», dicendo che «appena inizierà il processo riderà». «Un padre che doveva aspettare – ha sottolineato Ognibene –. In questo contesto io leggo il comportamento dei suoi legali che non interagivano più col servizio».