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Ottavo teste indagabile nel processo Angeli e Demoni sui presunti affidi illeciti. Una circostanza ormai fissa nell’ambito di questo procedimento, mentre ad essere ascoltati sono ancora i testi dell’accusa. E questa volta a rischiare è il padre della paziente di Claudio Foti, lo psicoterapeuta assolto in via definitiva in abbreviato. Ad inguaiarlo il fatto di aver ammesso in aula più volte comprato la droga da cedere alla figlia. Secondo quanto emerso dalle testimonianze - ma anche nel corso delle indagini -, la giovane faceva uso di stupefacenti ben prima della terapia con Foti, cosa che escluderebbe un nesso di correlazione tra la psicoterapia e l’assunzione di droghe. Una circostanza ammessa anche dalla madre, quando fu ascoltata dalla consulente dell’accusa. L’uomo è stato dunque ritenuto indagabile per cessione di stupefacenti alla figlia. Ma non solo: il teste, in aula, ha negato di avere precedenti penali, circostanza smentita documentalmente dalla difesa dell’assistente sociale Francesco Monopoli - rappresentata dagli avvocati Nicola Canestrini e Giuseppe Sambataro -, che ha depositato il certificato del casellario giudiziario dell’uomo. Stando ai documenti recuperati dalla difesa, l’uomo aveva costituito in Sicilia, in anni in cui sosteneva di essere a Bibbiano, una finta società di intermediazione del lavoro. Inoltre è stato condannato per contrabbando di sigarette e per mancato versamento del mantenimento.
Durante la sua deposizione, il teste ha ammesso di aver maltrattato la moglie anche in presenza della figlia, pur minimizzando la questione, avendo “solo” tirato i capelli alla donna. Circostanza invece chiarita dalla madre della giovane Paola (nome di fantasia, ndr), anche lei sentita ieri, secondo cui botte e insulti erano frequenti, soprattutto per questioni di gelosia. E a picchiarla era anche il fratello. Episodi che, in entrambi i casi, si verificavano davanti alle due figlie. La donna ha spiegato che la figlia era sicuramente convinta di aver subito gli abusi poi raccontati (in autonomia) a Foti, ovvero quello da parte del “compare” del padre, quando aveva solo quattro anni, e quello subito a 13 anni, quando fu costretta dall’allora fidanzato ad avere un rapporto sessuale al quale era contraria. Degli abusi subiti dalla giovane era stata la stessa madre a parlarne con Foti, durante l’incontro conoscitivo tra i due: stando alla registrazione della seduta, la madre aveva raccontato sia del presunto abuso ad opera dell’amico del padre, del quale era stata informata da una zia, sia del rapporto non consenziente con il fidanzato e anche dell’abuso di un compagno di classe, che le ha messo le mani negli slip. «Già c’era il precedente abuso che ha avuto a 13 anni - aveva raccontato la donna in quella sede -, poi dopo neanche il tempo di fare un percorso psicologico con la dottoressa è avvenuta questa cosa qui ( a scuola, ndr) e lei è peggiorata poi». La donna in aula ha infatti raccontato che la figlia era stata immobilizzata da alcuni ragazzi, che le avevano morso il collo. Uno di loro avrebbe allungato le mani sulle zone intime della giovane, mentre un altro le dava pugni in testa.
Sempre durante il primo incontro con Foti, la madre aveva sottolineato il rapporto controverso tra padre e figlia: «Me l’ha detto: non c’è mai stato, non mi ha creduto, lei è molto arrabbiata con suo padre. E anche questa è una cosa, secondo me, che la butta molto a terra, non esser creduta dal proprio genitore». Anche perché, aveva spiegato la donna, «non penso che si possa inventare una bambina di 4 anni queste cose qua». Ecco, dunque, l’origine del risentimento di Paola per il genitore, che «ha preferito credere al suo compare invece che a sua figlia», aveva spiegato la ragazza a Foti dicendo spontaneamente di «odiarlo». Il compare, è emerso ieri in aula, è risultato anche avere precedenti penali e, in particolare, proprio per violenza sessuale. Nonostante l’assoluzione definitiva di Foti, in base alla quale il reato di lesioni gravi non sussiste, la pm Valentina Salvi ha di nuovo proposto in aula il tema della manipolazione - allargato ieri anche ai servizi sociali - sostenendo che siano state la terapia con Foti e il rapporto con i servizi sociali a danneggiare Paola. Tant’è che nel corso delle precedenti udienze la pm ha depositato il dispositivo della sentenza di cui si attendono ancora le motivazioni -, nonostante, secondo la giurisprudenza, in caso di giudicato che esclude il fatto è impossibile ricostruirlo diversamente in un altro processo.
In aula, ieri, è stata sentita anche l’assistente sociale Beatrice Benati, prosciolta al termine dell’udienza preliminare. Benati ha confermato che l’intervento degli assistenti sociali è stato corretto, dato l’atteggiamento dei genitori nei confronti delle figlie, ragazze che senza l’intervento dei servizi sociali sarebbero rimaste pressoché sole. Tant’è che le affidatarie avrebbero avuto un ruolo importante per le ragazze. La teste ha chiarito che l’allontanamento non è stato ritenuto necessario in quanto la madre era collaborante, ma non diligente, non seguendo le disposizioni dei Servizi sociali. Ultima teste ascoltata ieri Elisabetta Fronzoli, psicologa di Mantova alla quale era stata richiesta dal Tribunale dei Minori una valutazione della capacità genitoriale. La teste avrebbe dichiarato a sit che dopo due incontri con il padre di Paola Monopoli le avrebbe telefonato per parlarle del caso, mentre Federica Anghinolfi, responsabile del Servizio sociale (difesa da Oliviero Mazza e Rossella Ognibene) le avrebbe parlato del sospetto abuso subito da una delle figlie. Secondo il verbale, quelle telefonate avrebbero potuto influire sulla sua valutazione. Cosa smentita ieri in aula, quando Fronzoli, dopo aver chiarito di aver parlato con Monopoli e di averlo chiamato personalmente (e non il contrario), ha affermato che le eventuali informazioni riferite non avrebbero potuto condizionarla, dal momento che l’oggetto del suo lavoro non c’entrava con quelle informazioni. La teste ha anche sottolineato di ricordare che in fase di sommarie informazioni i carabinieri avevano insistito molto sul possibile condizionamento subito a causa dei contatti con gli assistenti sociali, ma che oggi come allora non ha mai ritenuto fosse possibile. Il sospetto abuso, inoltre, dati gli elementi a disposizione, era assolutamente plausibile, secondo la teste.