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GOFFREDO BETTINI, EX MEMBRO DEL PARLAMENTO EUROPEO
Goffredo Bettini non è un capocorrente. Eppure ha un rilievo, nel Pd, perché è una figura del tutto autonoma al pari di poche altre: viene in mente Luciano Violante, per citarne una culturalmente assai diversa. Come Bettini, anche Enrico Morando, al congresso dei penalisti, si è espresso per il sì alla separazione delle carriere. Non si può escludere che a breve altri esponenti di spessore del mondo dem, come Stefano Ceccanti, ribadiscano pubblicamente il loro disincanto rispetto all’anatema anti- Nordio. In termini strettamente politici potrà non sconvolgere il quadro: il Pd farà comunque una campagna referendaria a testa bassa per il No alla riforma. Ma idealmente, qualcosa, con gli interventi di Bettini e Morando all’assise Ucpi di venerdì scorso, è cambiato davvero. È stata sconfessata la teoria della riforma strumentale e addirittura eversiva, e lo si è fatto dall’interno della forza politica più importante fra quelle ostili al ddl Nordio.
Forse non basterà a favorire la vittoria del Sì nella consultazione popolare. Peserà sicuramente altro, e non si può escludere che, nella battaglia sulle idee, irrompano vicende giudiziarie. Però c’è almeno un contributo di verità, grazie alla fronda nel partito di Elly Schlein: separare giudici e pm non comporta l’asservimento delle Procure al governo. Serve casomai a evitare che il pm controlli tutto, persino le promozioni di quei giudici davanti ai quali dovrebbe essere solo una parte al pari dell’avvocato.
Bettini ha diffuso, prima dell’intervento alla tavola rotonda catanese, un documento splendido, animato da uno spirito garantista di matrice umanistica, col riferimento alla professione di avvocato svolta dal padre, con il richiamo a principi basilari nella filosofia del diritto e nella stessa cultura costituzionale, a cominciare dalla fragilità del cittadino “stritolato” dalla macchina processuale. E un’ispirazione alta.
Ma è altrettanto solida la posizione espressa, all’assise dei penalisti, da Enrico Morando, presidente di Libertà eguale, la componente più autenticamente liberal del Pd.
L’ex viceministro all’Economia aveva inviato già a luglio, subito dopo il sì in seconda lettura di Palazzo Madama alla riforma Nordio, una lettera agli iscritti di Libertà eguale, in cui si sosteneva la necessità di schierarsi a favore delle carriere separate. C’è sicuramente, da parte della maggioranza «una mancata volontà di dialogo», scrive Morando, così come va riconosciuto il «grave errore di aver voluto prevedere meccanismi di sorteggio per la composizione dei nuovi Consigli superiori». Tuttavia, «la nostra Associazione ( e ancor prima le aree politico- culturali di origine della stessa) ha sempre visto nel principio della separazione delle carriere un dato positivo di impronta liberale, purché essa non conduca a forme di subordinazione verso l’Esecutivo, tema giustamente sollevato ma che non è presente in alcun modo nel testo».
Ecco: il leader della componente liberaldemocratica non esita a smontare un’altra fatwa scagliata contro la separazione delle carriere: il presunto conseguente scivolamento del pm alle dipendenze del guardasigilli. Prosegue il presidente di Libertà eguale, associazione di cui fanno parte esponenti di spicco del Pd come Lia Quartapelle, Tommaso Nannicini, Dario Parrini, oltre a “costituenti” del partito del calibro di Claudia Mancina, Gianni Cervetti, Michele Salvati e Irene Tinagli: «In questo referendum (sulla separazione delle carriere,ndr), saremo chiamati a scegliere non per appartenenza di partito, non per dinamiche interne nei partiti e tra i partiti, ma sulla base del bene superiore del Paese». E perciò, sostiene Morando, «nella massima libertà, credo occorra prepararsi da parte di chi si vuole collocare in continuità con questa ispirazione liberale di sinistra, ad animare una posizione favorevole, che sia altrettanto chiara nella collocazione politica alternativa all’attuale maggioranza. Di modo che, anche stavolta, nel referendum si possa valutare sul merito della proposta e non come test per le successive elezioni politiche». E viene così disconosciuta pure la motivazione che sorregge gli sforzi del Nazareno contro la riforma: cercare nella vittoria del No al referendum sulle carriere un grimaldello per mandare in crisi la leadership di Meloni in vista delle Politiche 2027.
Il dato che emerge dall’appassionato documento di Bettini come dalla chiarissima lettera- manifesto di Morando è che stavolta il dogma della guerra santa non regge, diversamente da quanto accadde, per il centrosinistra, nelle battaglie sulla giustizia contro Berlusconi. All’epoca, i disertori non erano ammessi.
Stavolta, sono proprio le dissenting opinion interne, a sconfessare l’idea che, sulla giustizia, sia in corso una guerra di religione. Anche se ad animare la fronda nel Pd sono componenti minoritarie, il fatto stesso che l’anatema anti- Nordio venga rinnegato all’interno del partito rende più complicato, per Schlein e i suoi, evocare lo spettro dell’attacco alla democrazia. Perché in effetti a rischiare, stavolta, è solo lo strapotere dei pm sui giudici.