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Incidente Probatorio in Questura per il caso dell’omicidio di Chiara Poggi Garlasco
Una donna è morta. Era giovane, bella, sorridente. Era estate, uno di quei momenti dell’anno in cui i giornali hanno disperato bisogno di notizie e un delitto, per quanto mai desiderato, diventa manna dal cielo. Non è una novità, in Italia, trasformare la scena del crimine in un set cinematografico. Gli inquirenti deprecano, ma alcuni si mettono in posa, ostentano dettagli, acconsentono a far entrare i giornali nel pool investigativo. Non come dovrebbero, ma come attori coprotagonisti di una scena che non appartiene loro, una recita cui la realtà stessa sembra prestare copione.
Le indagini su Alberto Stasi, giovane, biondo, fidanzato della vittima, presentarono subito punti ciechi. Il suo volto e la postura furono esposti agli italiani come parte integrante delle prove. La legge di Lombroso ha prevalso sul codice, a tratti, mentre i processi si celebravano in due luoghi separati: in Tribunale e nei salotti televisivi. Esiti a volte identici, a volte opposti. Dal 2015, sulla carta, esiste una verità giudiziaria definitiva, costellata di ragionevoli dubbi che persino il sostituto procuratore generale della Cassazione riconobbe: l’assassino, dice la sentenza, è Alberto Stasi. La sua difesa tentò in ogni modo di riaprire il processo, senza successo. Ma il popolo ha fame, maestà, e se non c’è un nuovo processo allora dategli un presunto colpevole.
Il presunto colpevole è Andrea Sempio, amico di Marco, fratello di Chiara. Ascoltato all’epoca delle indagini che portarono Stasi in carcere, appena 19enne, fu considerato non rilevante. Fu tirato in ballo poi dalla difesa Stasi dopo la condanna definitiva. Non si conoscevano, dicono entrambi, ma la strategia difensiva lo porta sempre a lui. Prelevarono di nascosto il suo dna - lui denunciò il pool difensivo per violazione della privacy - e lo confrontarono con le tracce sopra le unghie di Chiara, mostrando due profili genetici compatibili. Non funzionò: il procuratore di Pavia Mario Venditti – era il 2017 – chiese e ottenne l’archiviazione: «Se è umanamente comprensibile l’intento di difendersi da una gravissima accusa, ci si deve arrestare di fronte all’inconsistenza della difesa Stasi, tesa a rinvenire un colpevole alternativo», scrisse. Tra i motivi del no anche la misura delle scarpe: Sempio porta il 44, le impronte trovate sulla scena del crimine sono 42. Stessa misura di Stasi.
Nel 2020 i Carabinieri di Pavia tentarono di riaprire il caso, ipotizzando almeno un altro colpevole. Partirono da alcuni episodi di pedinamento, molestie e disturbo subiti nel 2018 dall’avvocata di Stasi, Giada Bocellari, che secondo i militari potevano portare elementi utili per il caso Poggi. Segnalarono anomalie: più impronte sul dispenser del sapone, capelli nel lavandino che porterebbero ad escludere il lavaggio dal sangue, un’impronta sulla porta e una sulle scale dove fu trovato il corpo mai analizzate, dubbi sulla comparazione della scarpa insanguinata. I militari sollevarono anche perplessità sulle tre telefonate di Sempio a casa Poggi pochi giorni prima del delitto e sullo scontrino del parcheggio, consegnato un anno e mezzo dopo, a sostegno dell’alibi che lo voleva a Vigevano la mattina del 13 agosto 2007. La procura respinse: «Tutti i punti segnalati dai carabinieri erano già stati oggetto di ampia valutazione sia nei numerosi precedenti provvedimenti giudiziari sia, in ultimo, nella richiesta di archiviazione del marzo 2017».
Quegli stessi elementi sono ora al centro della nuova indagine. Venditti non c’è più: indaga il procuratore Fabio Napoleone e tutto il quadro è cambiato. Nel 2022 la difesa di Stasi ha depositato una consulenza: due delle nove tracce sopra le unghie di Chiara sarebbero compatibili con Sempio. Si riparte dall’impronta nel sottoscala, la “traccia 33”. Non esiste più, ma le fotografie, analizzate con uno scanner ottico e con l’inchiostro, mostrerebbero 15 punti coincidenti con l’impronta di Sempio, le cosiddette “minuzie”. Il Tg1, in prima serata, disse che l’impronta era insanguinata: falso. Ma ormai era troppo tardi. La notizia fu urlata proprio il giorno in cui Sempio avrebbe dovuto essere interrogato, ma non si presentò per difetto di notifica. La sua faccia finì comunque nelle case di tutti gli italiani.
L’ultimo colpo di scena riguarda Venditti: non più magistrato, ma alla guida di un casinò, si è ritrovato dall’altra parte della barricata, indagato dalla procura di Brescia per corruzione in atti giudiziari. Avrebbe ricevuto circa 30mila euro - questa la tesi - per archiviare Sempio. Una cifra ridicola, che corrisponde a circa tre mesi di stipendio. La prova: un appunto trovato a casa dei genitori di Andrea: «Venditti gip archivia x 20.30 euro», datato 2016, collegato all’archiviazione del marzo 2017. I soldi delle marche da bollo, dirà la difesa. Gli inquirenti , però, parlano delle indagini del 2017 come piene di «anomalie», tra intercettazioni non trascritte e interrogatori brevissimi.
Secondo l’accusa, Sempio avrebbe saputo in anticipo i temi dell’interrogatorio del 2017 grazie a confidenze ignote. Ci sarebbero stati contatti «opachi » con due ufficiali, Giuseppe Spoto e Silvio Sapone, non indagati, e intercettazioni tra Sempio e i suoi genitori mai valorizzate, nelle quali si parlava della necessità di «pagare quei signori lì». La Guardia di Finanza, nei mesi scorsi, ha controllato i conti, rilevando movimenti sospetti: 43mila euro dalle zie di Andrea al padre Giuseppe e prelievi per 35mila euro tra dicembre 2016 e giugno 2017. Nessun versamento agli avvocati: secondo gli inquirenti, quei soldi potevano servire a corrompere Venditti. Sui cui conti, però, non è stato trovato nulla. Le case dei familiari di Sempio, di Venditti e di Spoto e Sapone sono state perquisite.
Controllati cellulari, pc, ogni strumento utile. Ma molti punti restano deboli. La presunta corruzione risalirebbe a febbraio 2017, ma già a gennaio i giornali parlavano di archiviazione. Perché corrompere Venditti e, contemporaneamente, pagare un consulente, Luciano Garofano, se la decisione sembrava scontata? E perché non indagare i carabinieri citati nel decreto di perquisizione? Ma non solo: i temi oggetto delle domande poste a Sempio durante l’interrogatorio, relative all’esposto della madre di Stasi, che consentì di riaprire il caso, erano già pubblici da dicembre 2016. Sui giornali. Il caso Garlasco continua a oscillare tra verità giudiziaria e verità mediatica, in un eterno ritorno dell'uguale. Indizi vecchi vengono riesumati come nuovi, intercettazioni dimenticate tornano centrali, accuse e difese si rincorrono tra aule di giustizia e studi televisivi. In questo teatro dove ognuno recita una parte, anche il dolore sembra perdere contorni, e la memoria di Chiara rischia di svanire dietro un riflettore troppo acceso. Perché quando tutto è spettacolo, niente è più reale. E alla fine, forse, non sapremo mai davvero chi c’era quella mattina a Garlasco.