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PIER ANTONIO PANZERI POLITICO PARLAMENTARE EUROPEO
La procura di Milano ha iscritto sul registro degli indagati Pier Antonio Panzeri, grande pentito del presunto Qatargate. L’accusa, dopo una denuncia sporta dall’ex vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili e dall’ex assistente parlamentare di Panzeri, Francesco Giorgi, è di calunnia. Entrambi sono stati arrestati a dicembre 2022 dopo essere stati tirati in ballo da Panzeri come membri della presunta associazione che avrebbe incassato tangenti in cambio di decisioni favorevoli a Qatar e Marocco.
Kaili e Giorgi, ascoltati nei giorni scorsi dal procuratore Marcello Viola e dall'aggiunto Eugenio Fusco e assistiti dall’avvocato Domenico Aiello, hanno affermato che Panzeri - che ha confessato e patteggiato nell'indagine belga -, li avrebbe tirati in ballo pur sapendo che entrambi erano innocenti. Perciò hanno chiesto alla procura meneghina di indagare sulle dichiarazioni rese ai magistrati di Bruxelles dall'ex sindacalista, che si è autoattribuito il ruolo di vertice di quella presunta corruzione. Ma nemmeno gli inquirenti, stando ad una registrazione realizzata da Giorgi, crederebbero alle parole di Panzeri: l'ispettore capo Ceferino Alvarez-Rodriguez, infatti, disse chiaramente all’ex assistente parlamentare che «non crediamo a niente di quello che dice Panzeri. Sappiamo benissimo che ci prende in giro».
A carico di Kaili e Giorgi non era emerso alcun elemento indiziante – come dimostrano i verbali dei servizi segreti, che hanno praticamente condotto l’inchiesta e poi trasmesso tutto alla procura – ma sono finiti in carcere sulla base esclusiva delle dichiarazioni di Panzeri. Il modo in cui si arrivò ai nomi di Kaili e Giorgi è stato denunciato dettagliatamente dagli stessi legali dell’ex europarlamentare, Laurent Kennes e Marc Uyttendaele.
Il giorno del suo arresto, Panzeri venne interrogato senza la presenza di un avvocato. In un primo momento negò l’esistenza di un sistema di corruzione, ammettendo soltanto di aver svolto «un lavoro informale per un Paese che si chiama Qatar» dopo la fine del suo mandato da eurodeputato, quando era ormai «un cittadino ordinario senza più obblighi istituzionali». Disse che il Qatar gli aveva chiesto di svolgere un’attività di consulenza e che lui aveva accettato, ma tutto in nero, come da accordi. «Io, probabilmente facendo un errore, ho accettato», confessò. Il compenso pattuito era di 17mila euro lordi al mese, che in tre anni ammontavano a circa 612mila euro, più o meno la stessa cifra che gli inquirenti avevano trovato in casa sua. «Ammetto di non aver pagato le tasse», aggiunse, ma insistette: «Non ho corrotto nessuno». Alle 17.42 gli investigatori si diedero il cambio e gli permisero di chiamare la figlia. Sapevano però già che non avrebbe potuto rispondere, perché era stata arrestata insieme alla madre in Italia, ma non lo informarono. Panzeri lasciò un messaggio in segreteria e continuò a raccontare. Solo alla fine dell’interrogatorio, alle 20.35, gli fu rivelato che moglie e figlia si trovavano in carcere. Fu allora che crollò. Il giorno successivo, alle 12.15, gli venne proposto un accordo: la libertà per moglie e figlia e una condanna a sei mesi, in cambio di una confessione. L’alternativa era pesante: 15 anni di carcere. Per evitarli, avrebbe dovuto fare due nomi. Panzeri, sconvolto, accettò, si autoincriminò e chiamò in causa gli eurodeputati belgi Marc Tarabella e Marie Arena. Ma poi smorzò il riferimento a quest’ultima. Una volta davanti al giudice istruttore Michel Claise, gli fu assegnato un avvocato d’ufficio, «praticamente fresco di laurea». Un investigatore, secondo i legali, «insistette per avere altri nomi» per suggellare l’accordo, che alla fine venne concluso. Davanti a Claise — che in seguito abbandonò le indagini a causa dei rapporti d’affari tra suo figlio e quello di Arena — gli venne ricordato ancora una volta che moglie e figlia erano in carcere. Panzeri chiarì: «Arena è una mia amica, non voglio denunciarla. Non c’entra nulla». Divenne così un collaboratore di giustizia e l’accordo fu portato a termine, inguaiando — tra gli altri — proprio Kaili e Giorgi.
La procura di Milano, ora, mette in discussione il pentito del Belgio, che già era stato sconfessato da un altro filone del Qatargate, quello relativo all’ex segretaria della Cgil Susanna Camusso: la gip Angela Minerva, infatti, nell’aprile del 2024 ha archiviato l’indagine a suo carico, aperta dopo che la procura federale belga aveva trasmesso in Italia alcuni verbali di Panzeri. Secondo il pentito, nel 2018 il Qatar avrebbe voluto finanziare la campagna di Camusso per la presidenza del sindacato mondiale dei lavoratori. I qatarioti avrebbero inteso “comprare” il consenso dei sindacati per ammorbidire le critiche sulle condizioni dei lavoratori nel Paese. Da qui il tentativo di avvicinamento da parte del dignitario del Qatar, Ali bin Samikh Al Marri, all’epoca presidente della Commissione per i diritti umani.
Di tutto ciò, però, non ci sono prove: per la giudice – come già avevano rilevato i pm – «l’atto genetico del procedimento» con «le affermazioni in merito a non meglio precisate “manovre” che sarebbero state effettuate da Panzeri per appoggiare Susanna Camusso» non era supportato da alcun riferimento concreto o specifico ad atti d’indagine. L’integrazione di atti ricevuti dagli inquirenti belgi è risultata «assolutamente generica e non suscettibile di approfondimenti», dal momento che le persone informate sui fatti «non hanno riferito nulla di utile per contestualizzare quanto genericamente affermato». La parabola del grande pentito belga ora si rovescia. E la procura di Milano potrebbe finalmente sbrogliare la grande matassa del Qatargate.