«Non crediamo a niente di quello che dice (Panzeri, ndr). Sappiamo benissimo che ci sta prendendo in giro, lo sappiamo. Ma esploderà tutto. E lui si assumerà le sue responsabilità». A pronunciare questa frase non è uno dei difensori degli indagati del caso Qatargate. Ma l’ispettore a capo dell’inchiesta, il braccio destro dei giudici istruttori che, uno dopo l’altro, hanno mollato l’inchiesta del secolo.

La sua viva voce è stata catturata da una registrazione fatta da Francesco Giorgi, ex braccio destro del grande “pentito” Pier Antonio Panzeri, che il 3 maggio scorso ha visto arrivare l’investigatore a casa propria, con la scusa di restituire quanto sequestrato pochi giorni prima. Un vero e proprio blitz, secondo l’avvocato di Giorgi, Pierre Monville, che questa mattina ha depositato l’audio - che il Dubbio ha avuto modo di ascoltare - presso l’ufficio del procuratore federale Raphael Malagnini. Audio a disposizione, ora, anche del Parlamento europeo - che finora ha evitato di accertare la possibile violazione dell’immunità parlamentare dell’ex vicepresidente Eva Kaili, rimasta in carcere per quattro mesi - e che verrà utilizzato nell'ambito del procedimento di controllo sulla regolarità dell'indagine, attualmente pendente dinanzi alla Camera di Accusa.
Giorgi avrebbe dovuto essere nuovamente ascoltato dagli inquirenti il 27 aprile 2023 per fornire ulteriori dichiarazioni spontanee. Il giorno precedente l’ex braccio destro di Panzeri ha chiesto di incontrare Monville, al quale ha confidato di non voler più parlare: non era pronto per nuove dichiarazioni. Un suo diritto, aveva spiegato il legale accompagnando, il giorno dopo, Giorgi in udienza.

Ma proprio in quel momento gli investigatori stavano perquisendo casa di Giorgi, pur in assenza di elementi nuovi che giustificassero tale azione. In casa, oltre al pc e al telefono, gli investigatori hanno portato via alcuni appunti difensivi, di fatto violando il diritto di difesa dell’ex braccio destro di Panzeri. Appunti dei quali gli investigatori erano a conoscenza: Giorgi, infatti, era stato ascoltato in casa mentre studiava il da farsi con il suo avvocato, dal momento che il gip aveva disposto un’intercettazione diretta nell’appartamento dove l’ex assistente parlamentare stava scontando la custodia cautelare con il braccialetto elettronico. Una cimice che, di fatto, ha consentito agli inquirenti di sentire in diretta in che modo i due stavano organizzando la difesa.

Il 3 maggio, dunque, l’ispettore raggiunge casa di Giorgi per riconsegnare quanto sequestrato. E l’ex assistente parlamentare, insospettito, decide di registrare quella che gli appare come una visita strana. «Non mi è piaciuto quello che avete fatto», dice il marito di Kaili, che sin dai primi giorni ha deciso di collaborare con la giustizia. Ma la replica dell’investigatore è secca: «È il gioco». Giorgi tenta di capire quale sia il vero scopo della perquisizione e la risposta non si fa attendere: cercare nuovi elementi. Ma ciò dopo sei mesi d’indagine, quando tutto ciò che poteva essere sequestrato è già in mano alla procura (e sui giornali).

«Ora avete accesso alle mie note confidenziali che avevo preparato con il mio avvocato - protesta Giorgi -. Non è normale». Ma l’investigatore non si scompone: quelle note dimostrerebbero solo «che hai accesso al fascicolo e che adatti i tuoi discorsi su ciò che è agli atti. Ma ci sono cose che non mettiamo agli atti!». Un vero e proprio abuso, dal momento che ciò non consente agli indagati di difendersi in maniera adeguata, come previsto in uno Stato di diritto. Ma è un gioco, appunto, messo in atto anche con Panzeri, al quale l’investigatore - che parla al plurale, a nome di chi ha svolto le indagini - dice di non credere.

«Avete un pentito che mente!», protesta Giorgi. E la risposta è spiazzante: «Lo sappiamo». Peccato, però, che sono state proprio le parole di Panzeri a far finire in carcere alcuni degli indagati. Come Marc Tarabella, eurodeputato belga di cui Panzeri inizialmente non fa il nome. «Tra il primo e il secondo interrogatorio - ammette placido l’ispettore - si dimentica di parlare di Tarabella. Nel frattempo ha accesso al fascicolo, vede che abbiamo interrogato Tarabella. Seconda videoconferenza cosa fa? “Guardate, vorrei aggiungere ancora qualcosa su Tarabella”. E lì comincia a parlare di Tarabella, ma non dice tutto, e noi lo sappiamo, ma non gli facciamo nessuna domanda».

Il trucco è proprio quello: lasciarlo parlare, con la scusa che, senza alcuna domanda, non è un vero interrogatorio. «Non l’abbiamo ancora sentito», si spinge a dire l’investigatore. Ma è proprio sulle sue parole che, nell’ultimo anno, sono state riempite pagine di giornali e si è arrivati a scrivere anche un libro. Ma si tratterebbe di un cumulo di bugie, per stessa ammissione di chi ha svolto le indagini. E sulla cui base Panzeri gode di un accordo con la procura, che gli consente di uscire dal caso senza colpo ferire. Ma non dovrebbe stare tranquillo, secondo l’ispettore: «Non dimenticare che i benefici sono zero. Se dimostriamo che sta mentendo, è finita». Il che vale anche per la moglie e la figlia dell’ex europarlamentare, rilasciate proprio a seguito della decisione di Panzeri di collaborare, entrambe «appese per i piedi», dice ancora l’inquirente. «Faremo saltare l’accordo», dunque, basta dimostrare le menzogne, a momento debito, tirando fuori gli atti rimasti nascosti.

Qual è, dunque, il «gioco» della procura? «Mettere pressione», ammette ancora l’investigatore. E poco importa se sequestrando gli appunti difensivi ci sia stata una violazione del diritto di difesa: nulla di trascendentale, dal momento che non si tratta di lettere indirizzate all’avvocato, ma solo di note scritte a mano e recuperate dalla spazzatura. Parole che lasciano sotto shock Giorgi: «La prendo molto male, perché ho detto fin dall’inizio che avrei collaborato. Volevo fornire tutte le informazioni che avevo nella mia cartella. Non avrebbero dovuto essere prese con la forza in quel modo», sottolinea. Giorgi si sente vittima di una trappola. E parla di una vera e propria «intimidazione», simile ai metodi di «Mani Pulite».

Ma a coprire l’azione degli investigatori c’è un mandato di perquisizione. «Per giustificare un simile atto - protesta l’italiano - è necessario che ci sia una reiterazione del crimine o della collusione o altro». «Magari è successo - risponde l’investigatore -. Se ti tolgono il braccialetto e torni in carcere, saprai che c’è stata collusione». Parole che abbattono completamente l’ex assistente di Panzeri, che dichiara apertamente di non avere più fiducia nella giustizia. E l’investigatore gli dà perfino ragione: «Devi essere pazzo per avere fiducia nella giustizia oggi - dichiara -. Avrò fiducia nella giustizia il giorno in cui giudici e pubblici ministeri non saranno nominati politicamente (...) Non ho fiducia nella giustizia perché la giustizia è controllata con i fili dai politici (...) E per fortuna ci sono gli avvocati! Te lo dico sinceramente».

Una situazione paradossale, alla quale ora si aggiunge anche il bavaglio imposto dal giudice istruttore: «Vietato parlare con la stampa, direttamente o indirettamente, o finirai in prigione», si legge in un documento fatto avere a Kaili e ora in mano al Parlamento. E guai ad usare il termine “Belgiumgate”. Forse, sarebbe il caso di parlare di “Qatargame”.


Francesca Spasiano