Gli Stati Uniti stanno facendo pressione sull’Ucraina affinché ritiri le proprie truppe dal Donbass, con l’obiettivo di creare una zona economica libera e demilitarizzata nella parte della regione ancora controllata da Kiev. A rivelarlo è stato lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha però subito posto un argine politico chiaro: qualsiasi ipotesi di cessione territoriale alla Russia potrà avvenire solo attraverso un passaggio democratico.

«Deve esserci una posizione del popolo», ha rimarcato Zelensky, spiegando che decisioni di questo peso dovranno passare necessariamente da elezioni o da un referendum. Il leader ucraino ha parlato di colloqui «costruttivi» con Washington, mentre da Mosca continuano ad arrivare segnali di forza sul piano militare.

Il presidente russo Vladimir Putin ha infatti dichiarato che l’«iniziativa strategica militare» sul campo di battaglia è «totalmente» nelle mani delle forze russe. Sul piano diplomatico, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha fatto sapere di aver trasmesso agli Stati Uniti «proposte aggiuntive sulle garanzie di sicurezza collettiva», ribadendo la posizione di Mosca: l’Ucraina dovrà restare non allineata, neutrale e non nucleare.

Lavrov è tornato anche ad attaccare l’Europa, definendo «inutili» i tentativi di Bruxelles di sedersi al tavolo negoziale. Allo stesso tempo ha escluso piani offensivi contro Ue e Nato, salvo poi avvertire che, qualora l’Europa decidesse di combattere, «la Russia è pronta adesso».

Parole che hanno provocato la reazione del segretario generale della Nato Mark Rutte. «Le forze oscure dell’oppressione sono di nuovo in marcia», ha dichiarato, avvertendo che «siamo già in pericolo e siamo il prossimo obiettivo della Russia».

Sul fronte europeo, il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha parlato di un’Europa «sotto pressione», ma determinata a non farsi «dividere». Merz ha tracciato una possibile road map diplomatica, ipotizzando un incontro all’inizio della prossima settimana a Berlino, con la partecipazione dell’amministrazione statunitense. Dopo la telefonata con Donald Trump, Emmanuel Macron e Keir Starmer, la speranza è quella di convincere il presidente americano a essere presente di persona.

Nel frattempo, sabato a Parigi è previsto un incontro tra funzionari di Stati Uniti, Ucraina, Francia, Germania e Regno Unito. Kiev, Parigi, Berlino e Londra saranno rappresentate dai rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale, mentre resta incerta la presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio, che è anche consigliere per la sicurezza nazionale di Trump.

A Bruxelles, intanto, appare meno accidentato il percorso per l’utilizzo dei 201 miliardi di euro di asset russi congelati destinati al prestito di riparazione all’Ucraina per i prossimi due anni. Gli Stati membri hanno avviato l’iter per approvare in sole 24 ore la procedura d’urgenza prevista dall’articolo 122 del Trattato sul funzionamento dell’Ue, la stessa utilizzata in passato durante la crisi del gas.

La mossa consentirebbe di sottrarre il congelamento dei beni russi al rinnovo semestrale delle sanzioni, spesso a rischio veto, soprattutto da parte dell’Ungheria. Proprio Budapest, insieme alla Slovacchia, ha votato contro lo stratagemma europeo, minacciando un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Ue, giudicando la misura giuridicamente infondata e politicamente dannosa per i negoziati di pace.

Restano infine da sciogliere le riserve del Belgio, Paese in cui ha sede la società depositaria degli asset russi, ma l’obiettivo di Bruxelles è arrivare al vertice europeo della prossima settimana con il via libera definitivo al sostegno finanziario necessario a mantenere in piedi l’Ucraina.