Due anni e due mesi dopo i fatti, Amnesty International conclude che gli attacchi terroristici del 7 ottobre 2023 costituiscono crimini contro l’umanità e di sterminio.

È l’incipit di un rapporto monumentale che esamina, con un livello di dettaglio raramente raggiunto, le responsabilità del movimento islamista palestinese e dei gruppi armati che hanno partecipato all’assalto nel sud d’Israele. Le conclusioni dell’ONG convergono con quelle già formulate da agenzie internazionali, altre organizzazioni per i diritti umani e media indipendenti: l’attacco, che ha causato la morte di oltre 1.200 persone e il rapimento di 251 ostaggi, è dunque qualificabile come crimine di guerra e costituisce una gravissima violazione del diritto internazionale umanitario.

Il documento, oltre 170 pagine di testimonianze, video geolocalizzati, immagini e riscontri incrociati, rappresenta soprattutto una sistematizzazione rigorosa di informazioni note fin dai giorni immediatamente successivi. Amnesty osserva che i gruppi armati palestinesi «hanno ucciso e ferito civili che non partecipavano in alcun modo alle ostilità», violando il divieto di attacchi diretti contro civili.

Per l’organizzazione, la sequenza di uccisioni compiute il 7 ottobre è una strage premeditata contro una popolazione non armata. Una definizione già formulata nel 2024 da Human Rights Watch e successivamente ripresa da numerosi organismi indipendenti. In parallelo, la Corte penale internazionale aveva già emesso, nel maggio 2024, mandati di arresto contro tre leader di HamasYahya Sinouar, Ismaïl Haniyeh e Mohammed Deif — per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Mandati speculari erano stati rivolti anche al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e all’allora ministro della Difesa Yoav Gallant per i bombardamenti di Gaza (oltre 65mila vittime in due anni).

Il nuovo rapporto di Amnesty dettaglia punto per punto le accuse: attacchi con razzi lanciati deliberatamente contro aree densamente popolate; massacri all’interno dei kibbutz, compresi bambini e anziani; rapimenti di civili e militari, vivi o già deceduti; detenzioni prolungate, torture, violenze sessuali e maltrattamenti sistematici degli ostaggi. Amnesty ricorre anche al lavoro della Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, che nel giugno 2024 aveva stabilito che le violenze sessuali non erano state “incidenti isolati”, ma si erano ripetute “in più luoghi con modalità simili”. L’ONG precisa tuttavia di non poter stabilire l’esatta ampiezza di tali crimini per mancanza di testimonianze dirette sufficienti.

Il rapporto smonta inoltre alcune narrazioni diffuse da Hamas o dai suoi sostenitori, come l’idea che i combattenti mirassero esclusivamente a obiettivi militari: «La grande maggioranza delle persone uccise erano civili e la maggior parte dei luoghi colpiti erano quartieri residenziali o spazi civili». Cade anche la tesi secondo cui una parte rilevante delle morti sarebbe stata causata dal fuoco amico israeliano.

L’ONG cita infatti le stesse indagini dell’esercito israeliano: nei kibbutz di Be’eri e Nahal Oz, 12 e 3 persone rispettivamente furono uccise da fuoco amico, ma si tratta — ribadisce Amnesty — di eccezioni numeriche che non modificano la responsabilità principale dell’attacco. Anche la negazione di una pianificazione della presa di ostaggi viene respinta: le prove raccolte — video, immagini, comunicazioni interne e sequenze coerenti di condotta — mostrano un modello operativo in cui le Brigate al-Qassam hanno sistematicamente sequestrato civili, inclusi bambini e anziani.

A questo quadro si aggiunge la constatazione che, dopo il 7 ottobre, i gruppi coinvolti hanno continuato a commettere violazioni: maltrattamento degli ostaggi, uso dei loro corpi come leva negoziale, detenzioni in condizioni degradanti e, secondo diverse testimonianze, episodi di violenza sessuale anche durante la prigionia.

Il bilancio umano è noto: 1.221 morti sul versante israeliano — in larga maggioranza civili — e 251 rapiti; tra i 207 ostaggi portati via vivi, 41 sono morti o sono stati uccisi in cattività. A oggi tutti sono stati restituiti, tranne un israeliano, di cui si conserva soltanto il corpo nella Striscia di Gaza. Sul versante politico, il rapporto si inserisce in un contesto in cui Amnesty è accusata da Israele di “menzogne” e “antisemitismo”.

Nelle sue raccomandazioni finali — di portata evidentemente limitata rispetto alla capacità reale di influenza su Hamas — Amnesty chiede ai gruppi armati palestinesi di indagare sulle violazioni gravi commesse dalle proprie forze, di riconoscere e denunciare pubblicamente i crimini, e di impegnarsi a non ripeterli. Una richiesta che, alla luce delle esecuzioni sommarie compiute a Gaza dopo il cessate il fuoco e del controllo militarizzato del territorio, appare più come un atto formale di responsabilizzazione che come una misura concretamente attuabile.

Resta però, nelle parole dell’ONG, l’urgenza di fissare un principio: nessuna causa politica, nessun contesto di oppressione o occupazione giustifica crimini contro l’umanità, né contro civili israeliani né contro civili palestinesi.