La Presidenza della Comece, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea, interviene con toni preoccupati sulle implicazioni della recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Wojewoda Mazowiecki, decisione che stabilisce l’obbligo per uno Stato membro di riconoscere un matrimonio tra due cittadini UE dello stesso sesso legalmente contratto in un altro Paese dell’Unione.

In una dichiarazione guidata dal presidente, monsignor Mariano Crociata, la Comece richiama la propria visione antropologica del matrimonio come unione tra un uomo e una donna e sostiene che la sentenza «sembra spingere la giurisprudenza oltre i limiti delle competenze dell’Ue». Il timore espresso dai vescovi è che la decisione possa incidere in modo significativo sui sistemi giuridici nazionali in materia di diritto di famiglia, generando pressioni indirette affinché gli Stati modifichino le proprie legislazioni, pur in assenza di un mandato europeo per armonizzare tali norme.

La preoccupazione riguarda anche la certezza del diritto: secondo i vescovi, la pronuncia rischia di creare «sviluppi negativi in altri settori sensibili», aprendo la strada a future decisioni che potrebbero coinvolgere temi delicati come la maternità surrogata. La Comece denuncia inoltre una tendenza a interpretare norme europee nate per tutelare le specificità degli ordinamenti nazionali in modo tale da «impoverirne il significato». È il caso dell’articolo 9 della Carta dei diritti fondamentali, che garantisce il diritto a sposarsi secondo le leggi nazionali e che, negli ordinamenti di numerosi Stati membri, definisce il matrimonio come unione eterosessuale.

Pur riconoscendo che la Corte chiarisce come la sentenza non modifichi la definizione di matrimonio all’interno degli Stati e che il diritto di famiglia resti di loro competenza, i vescovi osservano che tale affermazione viene «rigorosamente limitata» dalla necessità per ogni Stato di rispettare le disposizioni dell’Unione in materia di libera circolazione e soggiorno dei cittadini UE. Proprio questa condizione, secondo la Comece, rischia di ridimensionare il ruolo delle identità nazionali, rendendo difficile per gli Stati prevedere quali parti del proprio diritto familiare rimarranno effettivamente autonome.

La dichiarazione sottolinea che tendenze analoghe si sono già manifestate nell’applicazione di altre norme europee, come l’articolo 17, relativo alla tutela dello status delle Chiese e delle comunità religiose. Per questo la Comece ribadisce la necessità di un «approccio prudente e cauto» ai casi transfrontalieri di diritto di famiglia, evitando «influenze indebite sui sistemi giuridici nazionali».