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Amazon ha raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate per versare al fisco 511 milioni di euro come conseguenza dell’inchiesta della Procura di Milano per dichiarazione infedele e omessa dichiarazione sul modello di business di circolazione delle merci e la presunta non conformità a regimi fiscali e doganali vigenti nel triennio 2019-2021.
Nel febbraio del 2025, la Guardia di Finanza di Monza, coordinata dal pm milanese Elio Ramondini, aveva perquisito la sede milanese del colosso dell’e-commerce e sequestrato 5mila prodotti nel polo di Cividate al Piano (Bergamo). Nell’inchiesta, ancora in corso, viene ipotizzato che Amazon, attraverso i suoi poli logistici, abbia movimentato in Italia, con i propri canali di trasporto o con quelli di altre imprese, centinaia di migliaia di prodotti cinesi che, attraverso uno schema societario, sarebbero arrivati in Europa senza pagare Iva e dazi. La Procura aveva calcolato che l’evasione sarebbe stata di 3 miliardi.
La presunta evasione Iva riguarda il mancato versamento dell’imposta sulle merci provenienti dalla Cina nei magazzini italiani mentre in Italia era in vigore il decreto legge 34/2019 che ha introdotto specifici obblighi fiscali per la vendita di beni tramite piattaforme digitali a cui devono attenersi i soggetti passivi che facilitano «le vendite a distanza di beni all’interno dell’Unione europea» tramite «interfaccia elettronica». Secondo quella norma il «soggetto passivo», facilitatore delle vendite attraverso «piattaforme» e «mercati virtuali», è «considerato debitore d’imposta» per le «vendite a distanza» di cui «non ha trasmesso», o ha «trasmesso in modo incompleto», una serie di dati sui fornitori. Fra questi, in particolare, il numero totale delle unità vendute in Italia, l’ammontare complessivo dei prezzi di vendita o il prezzo medio di vendita. Dal 30 giugno 2021 l’Italia ha invece adottato la direttiva Ue 2017/2455 sull’imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni di attuazione.
La somma di mezzo miliardo di euro da versare all’erario si aggiunge ai 180 milioni pagati da Amazon all’Agenzia delle Entrate per una presunta frode fiscale legata ai cosiddetti “serbatoi di manodopera” gestiti da un software che tracciava i fattorini durante le consegne. L’indagine assegnata ai pubblici ministeri Paolo Storari e Valentina Mondovì ha portato la scorsa estate al sequestro preventivo d’urgenza da 121 milioni di euro. La Procura ha rinunciato a chiedere la misura interdittiva del divieto di pubblicità dopo il pagamento di Iva, contributi, oneri e sanzioni.
«Questo accordo riflette il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le autorità italiane. Ci difenderemo con determinazione rispetto all’eventuale procedimento penale, che riteniamo infondato», sottolinea Amazon in una nota. «Siamo tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese. Negli ultimi 15 anni abbiamo investito oltre 25 miliardi di euro in Italia, dove impieghiamo direttamente più di 19.000 persone. Contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono sull’attrattività dell’Italia come destinazione di investimento», conclude la nota.


