Violazioni su violazioni che hanno riguardato il diritto alla libertà di associazione, quello di candidarsi alle elezioni, il diritto di proprietà e il diritto al rispetto della vita privata di Aleksei Navalny, dei suoi collaboratori, dei loro familiari e di tre organizzazioni riconducibili al dissidente politico. È quanto ha constatato la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato la Russia.

Nella sentenza di 115 pagine emerge che nei confronti del principale oppositore di Putin, morto nella colonia penale “Po lar wolf” il 16 febbraio 2024, e della Fondazione anticorruzione le autorità di Mosca hanno attuato una vera e propria persecuzione. Come? Con misure che «facevano parte di uno sforzo concertato, di portata senza precedenti, volto a eliminare l'opposizione democratica organizzata incentrata su Aleksei Navalny».

I giudici di Strasburgo hanno preso in considerazione 140 ricorsi riguardanti una serie di provvedimenti adottati da Mosca dal 2019. Le prime azioni delle autorità russe hanno prima preso di mira la Fondazione anticorruzione, fondata da Navalny per indagare e rendere pubblici presunti casi di corruzione dell’establishment moscovita, e dopo la “Fondazione per la protezione dei diritti civili”. Quest’ultima organizzazione è stata creata per sostenere la rete nazionale ed estera facente capo a Navalny. La macchina della repressione è stata attivata all’inizio per realizzare perquisizioni, anche nelle abitazioni private, dei collaboratori di Navalny. Successivamente, è stato disposto il congelamento dei conti bancari delle ong e di alcune persone ad esse collegate per poi procedere alla definizione delle organizzazioni come «estremiste» con l’intervento dei tribunali nazionali. I provvedimenti che si sono susseguiti hanno portato all’incriminazione di Aleksei Navalny e dei suoi collaboratori, impedendo loro la partecipazione alle competizioni elettorali. La Cedu ha stabilito che Mosca dovrà versare a ciascuno dei ricorrenti un indennizzo compreso tra 2mila e 30mila euro.

Le argomentazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno messo in luce un vero e proprio accanimento nei confronti di Navalny. Per le autorità russe non contava rilevare le eventuali violazioni di legge a carico del dissidente morto quasi due anni fa: occorreva dare un esempio, punire chi si ostinava a criticare e a rilevare le condotte illecite dei massimi esponenti del potere russo, a partire dal boss del Cremlino Vladimir Putin. I raid e i sequestri che hanno avuto come obiettivo Navalny e le sue ong erano, secondo la Cedu, privi di una solida base giuridica. La Cedu ha infatti respinto le obiezioni della Russia, come le affermazioni in base alle quali le misure miravano a combattere il riciclaggio di denaro o l'estremismo. La difesa di Mosca, hanno affermato i giudici, non ha presentato nessuna prova.