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Uno dei più clamorosi casi di mala giustizia in Gran Bretagna nella storia moderna, di questo è stato vittima Peter Sullivan, l’uomo oggi 68enne che dopo 38 anni di ingiusta detenzione ha visto annullata la sua condanna per omicidio. Una vicenda che ha scosso il paese e che se da un lato giunge grazie a nuovi strumenti di cui si possono dotare i giudici come nuove analisi del DNA, dall'altro solleva profonde riflessioni sul sistema giudiziario britannico.
Tutto ha inizio nel 1986, quando Diane Sindall, una giovane barista di 21 anni, viene aggredita, violentata e uccisa nei dintorni di Bebington, nella contea di Merseyside, nel nord- ovest dell’Inghilterra. Il corpo della ragazza viene scoperto in un vicolo, con segni di una brutale aggressione. Un omicidio che scioccò profondamente la comunità locale. L’anno successivo, nel 1987, l’allora trentenne Sullivan viene arrestato, processato e condannato all’ergastolo per l’omicidio della donna.
Le accuse si basavano su una confessione, poi ritrattata, e su prove balistiche. Fondamentale fu l’esame chiamato “bite mark” (i presunti segni dei denti della vittima su Sullivan), ritenuto decisivo all’epoca ma che oggi è considerato sorpassato. Per quasi quattro decenni, Sullivan ha ripetuto di essere innocente e ora ha svelato che la sua confessione fu estorta dai poliziotti in assenza di avvocato, che nel corso degli interrogatori venne pestato brutalmente e che minacciarono di imputargli almeno altri 35 casi di violenza sessuale. L'accusato presentò appelli più volte, ma i primi tentativi fallirono: la Criminal Cases Review Commission (CCRC) nel 2008 non inviò il suo caso alla Corte d’Appello, sostenendo che nuovi test del DNA avrebbero avuto scarse probabilità di produrre un profilo attendibile.
La svolta è giunta solo quando la tecnologia forense ha fatto un balzo in avanti: grazie a nuovi test su campioni conservati della scena del crimine, è emerso che le tracce seminali trovate sul corpo di Sindall non appartenevano a Sullivan, ma a un uomo sconosciuto. Durante l’appello del 2023 i giudici della Corte (Lord Justice Holroyde insieme ad altri) hanno definito la condanna «non certa» alla luce delle nuove evidenze,
annullandola. Nel corso dell’udienza, Sullivan ha partecipato tramite collegamento video dal carcere di Wakefield. Le cronache lo hanno descritto visibilmente commosso mentre ascoltava la sentenza, scoppiando in lacrime a momento dell’annullamento. Dopo il pronunciamento dei giudici, ha rilasciato una dichiarazione tramite il suo legale: «Ho perso la mia libertà per quasi quarant’anni su un crimine che non ho mai commesso. Quello che mi è successo è stato molto sbagliato… ma non sono arrabbiato, non sono amareggiato».
La CCRC, dal canto suo, ha ammesso che il caso è stato rivisto grazie alle nuove capacità tecnologiche, ma con rammarico per non aver sollevato prima il problema: diciassette anni fa, gli esperti forensi avevano suggerito che le analisi non sarebbero state utili, ma oggi si riconosce che quegli esami avrebbero potuto evitare decenni di detenzione. Gli avvocati che lavorano nella CCRC spiegano che il caso Sullivan non è certo isolato, mettendo in luce come le lacune strutturali del sistema giudiziario. Intanto la polizia del Merseyside ha annunciato di aver riaperto l’indagine per cercare il colpevole. Al momento, il profilo genetico trovato non corrisponde a nessuno di quelli presenti nei registri di DNA attuali. I poliziotti invitano chiunque abbia informazioni a farsi avanti, nella speranza di risolvere finalmente il caso e dare giustizia alla memoria di Diane Sindall.
Sullivan ora deve affrontare un’altra battaglia. Per ottenere un risarcimento dallo Stato dovrà convincere il segretario di giustizia che è innocente al di là di ogni ragionevole dubbio, un requisito che rende difficile per molti ex detenuti ottenere compensazioni. Il tetto massimo previsto è di 1 milione di sterline, che, al netto degli anni passati in carcere, equivale a poco più di 26 mila sterline per anno scontato per errore.


