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Il piano “segreto” in 28 punti cucinato dalla Casa Bianca e dal Cremlino per “chiudere” la guerra in Ucraina — nasce già con un marchio d’origine: è stato concepito altrove, senza gli ucraini e senza l’Europa anche se l’esclusione di quest’ultima non è certo una notizia. Elaborato attraverso canali informali legati all’entourage di Donald Trump e a quello di Vladimir Putin, il documento è l’ennesima prova che il futuro di un Paese aggredito può essere discusso in tavoli paralleli, lontani da chi subirà le conseguenze reali delle decisioni. È la fotografia di un negoziato che procede sulle spalle dei diretti interessati.
Le versioni della bozza circolate sui media convergono su tre punti chiave: concessioni territoriali (le regioni del Donbass e della Crimea), una drastica riduzione dell’esercito ucraino e limitazioni permanenti alla presenza NATO sul territorio e nello spazio aereo dell’Ucraina. Praticamente una resa totale ai desiderata di Mosca che ridimensiona la sovranità ucraina e ridisegna completamente suo favore gli equilibri di sicurezza dell’Europa orientale.
A rendere indigeribile il documento per Kiev sono soprattutto tre blocchi di misure, che ne rappresentano l’ossatura politica e strategica. Il primo — quello centrale nelle aspettative del Cremlino — riguarda le concessioni territoriali. Secondo le versioni circolate nelle ultime ore, gli Stati Uniti e gli altri Paesi dovrebbero riconoscere la Crimea e le regioni del Donbass come territorio della Federazione russa, senza che a Kiev venga chiesto formalmente di fare altrettanto. Una formula ambigua, che però sancirebbe la fine di qualsiasi prospettiva di reintegrazione e aprirebbe la strada a una normalizzazione internazionale dell’annessione russa. In altre parole, un riconoscimento de facto di territori conquistati illegalmente dal 2022 con l’invasione militare.
Il secondo blocco, altrettanto critico, riguarda la smilitarizzazione strutturale dell’Ucraina. Il piano stabilisce il dimezzamento dell’esercito, la revoca progressiva dell’assistenza militare statunitense, il divieto assoluto di ospitare truppe straniere sul proprio suolo e il blocco delle forniture di armi occidentali a lungo raggio. Si tratta di condizioni che svuoterebbero l’Ucraina di qualsiasi deterrenza futura, lasciandola dipendente da garanzie di sicurezza americane non meglio specificate e potenzialmente reversibili. Un impianto che, di fatto, consegna alla Russia la capacità di definire i limiti della sicurezza ucraina, impedendo a Kiev di ricostruire un sistema difensivo credibile.
Il terzo blocco è quello più sottilmente politico e, per certi versi, più intrusivo sul piano identitario: il documento prevederebbe il riconoscimento del russo come lingua ufficiale dello Stato ucraino e la concessione di uno status formale alla sezione locale della Chiesa ortodossa russa. Queste richieste, che riproducono fedelmente i punti storici dell’agenda di Mosca, non riguardano soltanto l’amministrazione civile: intervengono nel cuore della costruzione nazionale ucraina, un’area sensibilissima dopo anni di guerra, repressione culturale nei territori occupati e distacco politico volontario da Mosca.
Inserire tali norme in un accordo internazionale equivarrebbe a sancire una sorta di tutela culturale russa sul Paese, un’ingerenza diretta nella definizione dell’identità linguistica, religiosa e simbolica dell’Ucraina. Nel complesso, questi tre blocchi delineano un piano che non si limita a congelare il conflitto, ma ridefinisce in profondità la sovranità ucraina, tanto sul versante territoriale quanto su quello militare e culturale. È proprio la somma di queste misure — e il fatto che siano state discusse in formati paralleli, con l’Ucraina spesso relegata al ruolo di spettatrice — a rendere il documento non un compromesso, ma una proposta sbilanciata, un tentativo diplomatico di legittimare le richieste russe attraverso il timbro statunitense. E conferma una dinamica che si profila sempre più chiaramente: la pace disegnata nei canali informali di Washington e Mosca appare, per ora, come una pace pensata per l’Ucraina, ma senza l’Ucraina.


