Le visite in carcere delle delegazioni dei partiti e delle associazioni continuano a rivelare situazioni che vanno ben oltre l’immaginabile. Storie di degrado, di abbandono e di dolore che ledono fortemente i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. È accaduto di nuovo a Regina Coeli, a Roma, durante la visita di “Nessuno tocchi Caino” con la presidente Rita Bernardini e il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti. Dopo aver constatato le condizioni di detenzione, i due hanno inviato una diffida al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, alla presidente del Tribunale di Sorveglianza di Roma e al procuratore della Repubblica, chiedendo un intervento urgente.

Nella loro denuncia parlano di “stato di degrado” e di “condizioni inumane e degradanti”, con particolare riferimento alla VII sezione del carcere romano, dove “in celle di appena otto metri quadrati tre persone sono costrette a convivere per 23 ore al giorno — in alcuni casi addirittura 24 — su letti a castello a tre piani”. Una fotografia di vita quotidiana che restituisce un’immagine durissima: corpi compressi in cubicoli angusti, senza spazi di respiro, in violazione del principio stesso di dignità che dovrebbe sorreggere la pena.

Dalla capitale a Torino, purtroppo, la situazione non cambia. Lunedì 18 agosto, una delegazione dei Radicali Italiani, con esponenti di Azione e + Europa, ha varcato i cancelli del carcere “Lorusso e Cutugno” e si è trovata di fronte a un caso che definire eccezionale non basta. «Abbiamo incontrato un uomo di 73 anni che si è letteralmente murato vivo» ha raccontato Filippo Blengino, segretario nazionale dei Radicali Italiani. La sua cella, ricoperta in ogni centimetro di carta stagnola e sigillata con colla, è diventata un bunker.

Dalle finestrelle non filtra la luce, l’aria entra appena da una piccola fessura, e un odore nauseabondo invade il corridoio. Secondo le testimonianze raccolte, quest’uomo non esce da anni se non in occasione di trattamenti sanitari obbligatori ( Tso), non ha accesso regolare alla doccia e versa in condizioni psichiatriche evidentemente incompatibili con la detenzione.

«La sua condizione è indegna, disumana e degradante — ha proseguito Blengino — così come è disumano e degradante che lo Stato lo abbia abbandonato a questa sorte. È bene che i cittadini sappiano e che le istituzioni smettano di fingere di non sapere». Parole che non raccontano soltanto la sofferenza di un singolo detenuto, ma che puntano il dito contro un sistema incapace di distinguere tra custodia e annientamento.

L’immagine del “murato vivo” ha scosso non solo chi era presente quel giorno, ma anche l’opinione pubblica. Le fotografie diffuse e la descrizione della cella trasformata in bunker hanno riportato al centro il nodo irrisolto delle carceri italiane: sovraffollamento, mancanza di personale, carenze igieniche, gestione emergenziale della salute mentale. In Piemonte, l’associazione Antigone ha registrato un tasso di sovraffollamento del 113%, con un ricorso crescente ai sedativi come strumento di contenimento. A Torino, nello stesso istituto, si erano già verificati un suicidio e un tentato suicidio nei giorni immediatamente precedenti alla visita dei Radicali Italiani.

Il sindacato di polizia penitenziaria Osapp parla apertamente di istituti “fuori controllo”. In altre strutture piemontesi, come ad Alessandria, i sindacati hanno denunciato settimane di guasti nelle docce, con conseguenti proteste dei detenuti. È un mosaico di criticità che restituisce l’immagine di un sistema al collasso, dove le condizioni di vita dietro le sbarre diventano specchio delle difficoltà stesse delle istituzioni.

Il caso del 73enne di Torino ha però avuto un seguito immediato sul piano politico. Il segretario di + Europa, Riccardo Magi, ha annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare rivolta al ministro della Giustizia Carlo Nordio. «Un uomo murato vivo non è un problema del carcere: è uno scandalo per la Repubblica» hanno dichiarato Magi e Blengino.

L’interrogazione chiede al Guardasigilli di riferire con urgenza in Parlamento e di intervenire per garantire dignità e salute non solo a questo detenuto, ma a tutte le persone con gravi patologie psichiatriche abbandonate negli istituti di pena italiani. Un atto che segna il passaggio della denuncia dalle mura delle carceri ai banchi parlamentari, costringendo la politica a confrontarsi con una realtà troppo spesso relegata in fondo all’agenda.