La pressione nelle celle, stipate al limite dell’impossibile, è palpabile: ogni sussulto può trasformarsi in rivolta. Nel “37esimo Rapporto Italia” di Eurispes un capitolo dedicato a rivolte, suicidi e sovraffollamento svela senza esitazioni il dramma delle nostre carceri italiane. Nei nostri penitenziari la tensione è al limite: sono inagibili oltre 4.000 posti letto, aggravando la crisi. Nel 2024 i detenuti sono stati 61.861, a fronte di 51.312 posti disponibili, con un sovraffollamento medio del 20,55%.

Tra le regioni, la Puglia guida la classifica con un impressionante 48% di eccedenza (4.355 presenze su 2.943 posti), seguita da Lombardia (+43,79%), Friuli Venezia Giulia (+42,36%) e Veneto (+40,44%). Solo Valle d’Aosta (–22,10%), Sardegna (–12,42%) e Trentino Alto Adige (–6,67%) fanno eccezione.

La gravità del quadro emerge anche dai suicidi: nel 2024 se ne sono contati 83, cifra record che supera i dati dell’ultimo decennio. Ogni settimana un detenuto ha scelto la via estrema, schiacciato dall’isolamento, dal caldo estivo e dalle condizioni igienico-sanitarie precarie. Queste morti innescano spesso ondate di protesta e scontri con la polizia penitenziaria. Il caso più eclatante è quello del 6 settembre alla Casa Circondariale di San Vittore, a Milano: un recluso dà fuoco alla propria cella e muore carbonizzato; i compagni, in segno di rabbia, incendiano materassi, scatenando tensioni che hanno richiesto l’intervento delle forze dell’ordine.

Secondo il Rapporto Eurispes, le rivolte sono state 67, catalogate incrociando dati ufficiali del ministero della Giustizia, rapporti sindacali, fonti giornalistiche nazionali e locali e materiali rintracciati nel dark web. Ogni evento è codificato per data, luogo, numero di feriti e tipologia di azione: disordini, incendi, uso di armi bianche o bastoni. Nei 67 episodi si contano 89 feriti tra agenti e detenuti, con una media di 1,36 feriti per evento. Se si considera soltanto il 28% delle rivolte che ha provocato lesioni, la media schizza a 4,68 feriti a protesta violenta, cifra che conferma come gli scontri possano rivelarsi particolarmente cruenti quando degenerano.

Dal punto di vista cronologico, i mesi estivi sono stati i più critici: luglio, agosto e settembre 2024 hanno concentrato il 68% delle sommosse, con luglio in testa a 22 eventi. Durante l’ondata di caldo, spesso accompagnata da blackout idrici, celle e corridoi sono diventati forni a cielo aperto, esasperando i detenuti. A peggiorare il clima, il dibattito politico sul “Disegno di legge Sicurezza”, che prevedeva l’introduzione del reato di rivolta in carcere, rendendo anche il semplice ritardo nel rientro in cella un’aggravante.

Geograficamente, il Lazio è la regione più “calda”, con 18 rivolte, seguito dal Piemonte con 16: entrambe presentano carceri soffocate dal sovraffollamento, ma non sono le uniche a esplodere in protesta.

Campania e Lombardia ne contano 8 ciascuna, Liguria e Toscana 3, Calabria, Sicilia e Friuli Venezia Giulia 2, Puglia, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto 1. Tra le città, Roma guida con 11 sommosse, Torino ne registra 8 e Milano 7. I penitenziari più in rivolta sono stati Roma – Regina Coeli e Ipm Casal del Marmo –, Milano – Beccaria e San Vittore – e Torino – Lorusso e Cotugno e Ipm Ferrante Aporti. Quest’ultimo ha vissuto il 1° agosto una sommossa di circa 50 giovani detenuti, armati di bastoni e bombole incendiarie: dieci agenti sono rimasti intossicati e 12 minorenni sono stati trasferiti in ospedale per controlli.

Tra le modalità di protesta, l’incendio è l’arma più comune (42% dei casi): materassi, lenzuola e bombole diventano torce di rabbia, simbolo di un disprezzo che arde dentro le celle. I disordini generalizzati – in cui rientra anche il rifiuto di tornare in cella – rappresentano il 45% delle azioni di protesta, spesso per denunciare condizioni di vita disumane, ritardi nelle visite mediche o reazioni a suicidi. Le armi bianche e i bastoni compaiono nei restanti casi, a volte in scontri alimentati da tensioni etniche, religiose o contrasti con gli agenti.

Circa il 30% dei detenuti è straniero, elemento che rende l’eterogeneità culturale un ulteriore fattore di frizione. Il 2024 ha segnato un picco di tensione: il numero record di detenuti, l’aumento drammatico dei suicidi e il proliferare di rivolte dipingono un sistema penitenziario al collasso. In carcere la voce del dibattito pubblico arriva filtrata, ma arriva. Come evidenzia Eurispes, in diverse occasioni le rivolte sono esplose pochi giorni dopo l’approvazione di emendamenti punitivi. All’interno delle mura, anche il timore di un inasprimento delle pene, senza garanzie di percorsi di rieducazione, è diventato detonatore di proteste. Più che un’istanza di miglioramento, i detenuti temono un futuro ancora più duro: così nasce la rabbia che prende forma dietro le sbarre.

Alla fine del viaggio nei numeri resta la sensazione di un sistema in caduta libera. Le rivolte non cessano, i suicidi non accennano a diminuire e il sovraffollamento peggiora anno dopo anno: il 2024 è il primo anno dal 2014 in cui il numero di detenuti supera quello dell’anno precedente, con un +2,81%. Significa che ogni nuova strategia legislativa e ogni promessa di riforma fin qui non solo non sono bastate, ma, in casi come il decreto sicurezza, hanno aggravato la situazione.