Il viaggio fra le mura delle carceri italiane somiglia sempre più a un romanzo a puntate, in cui capitoli di sofferenza si alternano ad altrettanti momenti di attesa. Ma oggi i numeri non solo gridano più forte di qualsiasi parola: urlano un'emergenza che ha raggiunto livelli drammatici, ma che i lavori di edilizia programmati non potrebbero risolvere. Il documento programmatico del Programma Carceri 2025- 2027 da poco reso pubblico sul sito del ministero della Giustizia, ammette senza mezzi termini una realtà allarmante: “Nell'ultimo biennio, peraltro, l'indice di affollamento è aumentato a tassi maggiori rispetto al precedente, attestandosi, al 31 dicembre 2024, a circa il 120%”.

La mappatura effettuata dal Dap rivela una carenza complessiva di circa 10.500 posti detentivi all'interno delle strutture penitenziarie nazionali – un dato che, per la prima volta, viene riconosciuto ufficialmente in tutta la sua gravità. Questa crescita esponenziale del sovraffollamento non è casuale: è la diretta conseguenza di una serie di misure securitarie adottate dal governo, che hanno aumentato il ricorso alla custodia cautelare e l'innalzamento delle pene, trasformando le carceri italiane in contenitori umani al limite del collasso. Il quadro si fa ancora più preoccupante se consideriamo che, per la prima volta, si pone anche il problema di costruire nuove carceri minorili, segno che l'emergenza ha ormai investito ogni fascia della popolazione detenuta.

Contro questo scenario apocalittico, con 62.569 detenuti stipati in una rete di celle pensate per 51.300 persone – di cui 4.477 addirittura fuori uso proprio per i lavori di manutenzione – il Programma Carceri 2025– 2027 si propone, ed è stato presentato come il colpo di scena risolutivo: ma è davvero così?

UN'APERTURA FULMINEA… O APPARENTE?

Nel tentativo di alleggerire subito la pressione delle celle, il Programma affida al Commissario straordinario il potere di avviare sette interventi di manutenzione straordinaria. Questi cantieri, finalizzati all'adeguamento alle norme del Dpr 230/ 2000 e al ripristino dei padiglioni chiusi da anni, promettono di restituire 808 posti detentivi con un finanziamento complessivo di 37,1 milioni di euro.

A Santa Maria Capua Vetere, nel carcere di Carinola, il padiglione “Tevere” tornerà operativo dopo un investimento di 5 milioni di euro, recuperando 150 posti entro il quarto trimestre del 2026. A Rebibbia, nel Centro di prima accoglienza, la ristrutturazione della prima sezione detentiva aggiungerà 100 nuovi posti grazie a risorse pari a 3 milioni di euro, con consegna prevista nello stesso arco temporale. Nel carcere di Trani, l'adeguamento funzionale del padiglione “ex blu” offrirà 80 posti attraverso una gara già avviata, mentre a Nuoro gli interventi sulla prima sezione detentiva garantiranno 88 posti al costo di 5 milioni di euro, entrambi con termine lavori nel quarto trimestre 2026.

A completare il profilo meridionale e centrale, il nuovo padiglione di Agrigento porterà 150 posti grazie a un impegno di 6,5 milioni di euro, mentre la ex Caserma Barbetti di Grosseto si trasformerà in un'ala detentiva per 204 persone, in un progetto valutato 11,6 milioni di euro e stimato in 22 mesi di lavori. Per rispettare questi obiettivi, ogni impresa incaricata lavorerà senza sosta su tre turni di otto ore, notti e festivi compresi, sulla base di accordi che derogano ai normali tempi delle procedure amministrative.

La complessità delle gare d'appalto, le varianti progettuali e le verifiche tecniche, però, potrebbero rallentare la tabella di marcia, rendendo l'apertura”' fulminea” più un auspicio che una certezza. Se davvero ogni cronoprogramma verrà rispettato, a fine 2026 la rete carceraria potrà contare su quasi ottocento nuovi posti; anche il minimo slittamento, però, rischia di protrarre ancora l'emergenza delle celle sovraffollate.

IL CUORE “MODULARE” DEL PIANO

Se questa prima fase somiglia a un rapido intervento di pronto soccorso, è nella Linea 2 – Ampliamenti che il Programma svela la sua vera scommessa: 1.944 posti ottenuti con la costruzione di 12 nuovi padiglioni e 9 strutture detentive modulari, per un totale di circa 232 milioni di euro. Le strutture prefabbricate, spesso descritte come la “chiave della rapidità”, sono veri e propri container abitativi progettati in fabbrica e assemblati sul posto, per contenere al massimo 24 detenuti a modulo.

Il cronoprogramma è serratissimo: appena 10 mesi dal via, con termine lavori previsto nel quarto trimestre 2025. L’uso di prefabbricati punta a rapidità e costi contenuti, ma lascia sul campo diverse ombre. La modularità esasperata riduce l’intervento a una soluzione che, in realtà, è nata per essere provvisoria. Ma soprattutto, anziché risolvere il sovraffollamento, rischia di spostare il problema: i moduli, infatti, mancano di spazi comuni dignitosi, locali trattamentali e aree di socialità, elementi essenziali per qualsiasi progetto di reinserimento.

Già il numero dei siti scelti racconta un'Italia carceraria spaccata: da Voghera e Opera in Lombardia, con 48 posti ciascuno, a Biella con 24 posti, fino ad Alba e Agrigento con 48 posti ciascuno, per arrivare a istituti minori dove un unico modulo potrà cambiare la vita di una trentina di persone. In cinque istituti sorgeranno quindi “cittadelle mobili” in grado di accogliere fino a 48 nuovi innesti, ma rimane, come già detto, un punto cruciale: sono strutture pensate come temporanee.

In teoria, i prefabbricati avrebbero dovuto livellare le esigenze di ogni regione: montaggio rapido, costi contenuti, nessun bisogno di nuovi terreni. E se i container portano fretta, i nuovi padiglioni tradizionali – ognuno capace di ospitare 120 detenuti e dotato di spazi per servizi accessori e aree di socialità – viaggeranno su un crinale più lento: appaltati in tranche da 15- 20 milioni di euro, con termine lavori fissato tra fine 2026 e 2027.

PIÙ DATI, PIÙ INCERTEZZE

L'analisi dei tempi conferma gli arzigogoli burocratici. Gare e varianti possono aggiungere fino a sei mesi al cronoprogramma, mentre ogni intervento è vincolato a verifiche tecniche, collaudi statici e autorizzazioni paesaggistiche. Il coinvolgimento di tre turni continui di lavoro – festivi e notturni – spinge gli appaltatori, ma non assicura che fondazioni sbagliate o intoppi logistici non rallentino tutto. A completare il quadro, la Linea 4 punta sull'innovazione: una piattaforma digitale nazionale che censisca ogni metro quadrato del patrimonio penitenziario e organizzi manutenzioni ordinarie e straordinarie in base a priorità oggettive. Ma è un investimento che pagherà dividendi solo nel lungo termine, quando i numeri saranno finalmente incrociati con la programmazione puntuale degli interventi.

Non basta un'iniezione di miliardi né cantieri superveloci per sanare l’emergenza. Se davvero si vuole voltare pagina, accanto ai pannelli prefabbricati e alle celle nuove di zecca serve una strategia più ampia che includa politiche deflattive, meno inasprimento delle pene e misure alternative alla detenzione per alleviare la pressione fin da subito, oltre al supporto psicologico e alla formazione all'interno degli istituti, perché la dignità non si misura in metri quadrati. Solo così potremo sperare che, una volta terminati i lavori, i corridoi delle carceri non raccontino più soltanto storie di gente ammassata, ma diventino luoghi in cui si coltiva il cambiamento. Perché se i moduli prefabbricati sono una corsia preferenziale, la vera via d'uscita resta il riconoscimento della persona, oltre il muro di cinta.