Non solo i magistrati come Roberto Scarpinato o Giancarlo Caselli che, auditi in commissione Giustizia, legittimamente espongono una loro opinione sulle proposte di legge in merito alla concessione dei benefici a chi è in ergastolo ostativo, ma ci sono anche i magistrati di sorveglianza ( sono coloro che da sempre trattano le richieste dei detenuti per mafia) che entrano nel merito delle norme addentrandosi in ogni addentellatura. Non teorie quindi, ma valutazioni basate sulla loro decennale esperienza.

Solo confrontando le audizioni dei magistrati, il Parlamento può avere una giusta cognizione sull’argomento. C’è una complessità che letta sotto una lente cospirazionista, non rende giustizia alla forma e sostanza della normativa che il Parlamento si appresterà a varare.

Ascoltati due magistrati di sorveglianza di esperienza

La commissione Giustizia, infatti, ha ascoltato anche i pareri di due magistrati di esperienza e spessore: la giudice Antonietta Fiorillo, Presidente del Coordinamento Nazionale Magistrati di Sorveglianza ( Conams), e il magistrato Fabio Gianfilippi, il quale tratta da anni i benefici riguardanti i detenuti per mafia ristretti nei penitenziari umbri.

Interventi non astratti, ma dove si entra finalmente nel merito. Parliamo di due diverse visioni all’interno della magistratura stessa. Una di tipo “paternalistica”, ovvero: «Rischiamo di esporre i giudici di sorveglianza alle pressioni mafiose!», l’altra di valorizzazione della propria professionalità e capacità di valutazione.

Gianfilippi: «Esposti a eventuali pressioni mafiose come qualsiasi altro giudice»

Per quest’ultimo aspetto, è interessante riportare la risposta del magistrato Fabio Gianfilippi durante il suo intervento in commissione Giustizia: «In realtà noi magistrati di sorveglianza siamo da sempre esposti a eventuali pressioni mafiose come qualsiasi altro giudice. Fa parte della nostra professionalità, quella di confrontarci con tale difficoltà. In realtà, decisioni di questo calibro sono da sempre nella nostra competenza. Faccio solo due esempi: la valutazione sulla necessità di misura di sicurezza detentiva nei confronti dei condannati per reati di mafia, oppure la valutazione sui benefici legati alla condizione gravi di salute».

Ma andiamo con ordine. Molto incisivo l’intervento della giudice Antonietta Fiorillo, la presidente del Conams. È entrata nel merito delle proposte di legge e ha evidenziato alcuni aspetti critici. «Una delle norme sembra prevedere la concedibilità dei cosiddetti benefici penitenziari solo agli ergastolani e non ai soggetti condannati per gli stessi reati a pene temporanee. Se la nostra valutazione è corretta, si proporrebbe una disparità di trattamento», ha evidenziato la dottoressa Fiorillo.

Altro punto critico è l’onere probatorio che viene proposto a carico del detenuto. «Se il soggetto si è veramente distaccato dal contesto mafioso di appartenenza dopo 20 anni di detenzione, è difficile, se non impossibile che possa offrire degli elementi. Viceversa, se è un soggetto dopo decenni offre degli elementi, noi come magistrati di sorveglianza riteniamo che si debba fare dell’investigazione per avere una idea sulla fondatezza o meno», sottolinea la giudice.

Il detenuto non può essere gravato dall'onere di provare l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata

In sostanza non può essere gravato dell'onere di provare il detenuto stesso l'assenza di una attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. Come può farlo dopo decenni di detenzione e quindi sconnesso con la criminalità mafiosa di appartenenza? Anzi, se da non collaboratore di giustizia, dovesse fornire elementi lui stesso, la questione può destare anche qualche sospetto circa la genuinità delle dichiarazioni. Ecco, perché, in quel caso, a maggior ragione si dovrebbe vagliare bene. La dottoressa Fiorillo chiede anche che la legge dovrà essere accompagnata da «un rafforzamento ineludibile dell’area educativa, servizio sociale e polizia penitenziaria, tutti attori fondamentali per redigere una osservazione che confluisce nelle relazioni che vengono inviati ai magistrati di sorveglianza».

Antonietta Fiorillo,  del Conams, respinge la proposta di accentrare tutti i procedimenti presso il tribunale di sorveglianza di Roma

Altro punto dolente della proposta di legge fatta dal M5S è quella di accentrare tutti i procedimenti presso il tribunale di sorveglianza di Roma. La giudice di sorveglianza respinge con forza tale proposta: «Intanto – ha spiegato la dottoressa Fiorillo - non capiamo quali siano le ragioni per creare un tribunale, tra l’altro di grandissime dimensioni, che si porrebbe innanzitutto in contrasto con il reparto di competenza in materia di sorveglianza, ma anche perché non siamo riusciti ad individuare profili per cui la sorveglianza di Roma possa ritenersi portatore di una specializzazione particolare in questa materia. Se si ragionasse in questa prospettiva, allora dovremmo dire che anche tutti i gip e tutti i processi di mafia dovrebbero concentrarsi a Roma».

Ma ha aggiunto: «Detto questo, c’è un profilo importante di funzionalità. Intanto, in questo modo, si supera una caratteristica fondamentale della magistratura di sorveglianza: il giudice deve entrare in carcere, soprattutto perché è un obbligo, gli serve per conoscere i soggetti rispetto ai quali dovrà decidere. È veramente illusorio pensare che si possa decidere senza attribuire un volto a una cartella biografica, cioè fare una valutazione solo cartolare. Io dubito che i giudici di un tribunale unico di sorveglianza a Roma possano entrare in tutte le carceri per compiere la valutazione».

Infatti non basta nemmeno il colloquio. Secondo la Fiorillo, l’entrata in carcere del giudice è un obbligo perché non si deve conoscere solo il detenuto, ma la polizia penitenziaria, gli educatori, psicologi, psichiatri laddove ci sono, i servizi sociali. «Il giudice di sorveglianza deve conoscere tutta l’area educativa, perché solo così sarà in grado di decriptare le loro relazioni di sintesi. Noi lavoriamo sulle persone. Dobbiamo fare una prognosi sul percorso futuro di questi soggetti e quindi dobbiamo capire se dietro quelle relazioni che a volte sono positivissime, c’è un vero e proprio lavoro di trattamento, oppure altro», ha concluso la giudice di sorveglianza.

In commissione è intervenuto anche il magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi. È ritornato anche lui sulla proposta di concentrare tutte le competenze a Roma.

Gianfilippi: «Sono otto i permessi concessi agli ergastolani dopo la prima sentenza della Consulta»

«Frusta completamente i principi generali sul giudice naturale – ha sottolineato il magistrato Gianfilippi - e si finisce per allontanare la decisione dal giudice che meglio conosce la persona e il contesto penitenziario dove si è dipanata la sua vita». Indirettamente risponde anche ai sui colleghi che in commissione antimafia hanno lanciato l’allarme sul fatto che possano uscire gli “irriducibili”. Il magistrato Gianfilippi parte da un esempio concreto: «C’è un primo bilancio che può essere utile da quando c’è stata la prima sentenza della Consulta sull’ergastolo ostativo. Sono otto i permessi concessi agli ergastolani, e tra l’altro nessuno di loro è al 41 bis dove, di fatto, è quasi impossibile concederli per via della normativa sul carcere duro. Questo è un chiaro indice che i parametri attuali stabiliti dalle sentenze costituiscono già uno strumento importante per la magistratura di sorveglianza per valutare seriamente le richieste di benefici!».

Non solo. Il magistrato di sorveglianza Gianfilippi valuta molto positivamente uno dei punti della proposta di legge della deputata del Pd Enza Bossio. «Il contributo che ci arriva dalle procure antimafia o dalle forze dell’ordine del territorio, deve essere più possibile concreto, attuale e individualizzato. Non serve tanto un parere, ma gli elementi per dare la possibilità a noi di valutare».