La sentenza di assoluzione dell’ex sindaco di Marina di Gioiosa, Rocco Femia, diventa definitiva. A certificarlo è il provvedimento depositato oggi in Corte d’Appello di Reggio Calabria, che ha dunque sancito la fine della disavventura giudiziaria dell’ex primo cittadino, arrestato a maggio 2011 e rimasto in carcere per cinque anni e 10 giorni. L’assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria lo scorso 10 marzo, infatti, non è stata impugnata dalla procura generale, confermando, dunque, che quello ai suoi danni è stato un vero e proprio errore giudiziario. Arrestato nel 2011 con l’operazione “Circolo Formato”, che svelò gli interessi della cosca Mazzaferro sulle elezioni amministrative del 2008, Femia fu condannato sia in primo grado sia in appello a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa, indicato dai giudici come «partecipe consapevole» di tutte le dinamiche della cosca che ne avrebbe supportato l’elezione. Una certezza prima ritenuta inossidabile e che ha iniziato a vacillare in Cassazione, nel 2018, quando i giudici, escludendo categoricamente che l’ex sindaco potesse ritenersi un affiliato al clan, rispedirono gli atti alla Corte d’Appello, invitando i colleghi a capire se fosse quantomeno un concorrente esterno alla cosca e se, dunque, ci fosse stato un patto tra le due parti. Ma nella sentenza d’appello anche quell’accusa si è sbriciolata: i giudici, infatti, hanno contestato la presenza di «un quadro probatorio del tutto privo di significatività ai fini del giudizio di colpevolezza dell’imputato per una contestazione di estrema gravità, quale quella di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso». Nel secondo processo d’appello, il procuratore generale ha dapprima chiesto una condanna a 8 anni, salvo poi, il giorno della sentenza, prendere nuovamente la parola per riformulare la richiesta, che è dunque passata al minimo della pena con il massimo delle attenuanti generiche. Secondo i giudici d’appello, dunque, il processo non avrebbe fatto emergere alcuna prova concreta a carico dell’ex sindaco. Anzi, sarebbero state diverse le evidenze di come l’amministrazione Femia, stroncata dopo tre anni con l’operazione che fece finire in carcere anche tre assessori (poi tutti assolti), si fosse impegnata nel senso opposto a quello evidenziato dall’accusa. I giudici hanno infatti valorizzato «una serie di attività dell’amministrazione guidata dal sindaco Femia Rocco (documentate dalla difesa e non contrastate da alcuna emergenza processuale di segno contrario) finalizzate a contrastare il fenomeno mafioso ed improntate al rispetto della legge, del tutto confliggenti con gli interessi del gruppo criminale». Come ad esempio la scelta, subito dopo l’insediamento della nuova giunta, di delegare alla Stazione unica appaltante provinciale tutti gli appalti pubblici, anche quelli al di sotto dei 150mila euro. Così come, tra le altre cose, erano stati sequestrati e affidati in custodia gli animali rinvenuti sui terreni di proprietà dei clan. Insomma: nessun occhio di riguardo. «L’assenza di apprezzabili possibilità di diverse acquisizioni istruttorie» idonee a concludere un accordo con i clan, dunque, hanno portato all’assoluzione di Femia «per non aver commesso il fatto». Nonostante ciò, si è ritrovato per cinque anni rinchiuso in carcere, prima a Reggio Calabria, in «un cunicolo con 4 letti a castello, con cemento grezzo a terra, scarafaggi e topi che ci passavano sulla testa mentre dormivamo», poi a Palermo, dove i detenuti subivano continui controlli notturni della polizia penitenziaria, che duravano circa un’ora, «senza nessun riguardo per il nostro corredo: salivano sui letti con gli stivali, buttavano tutto giù e ci toccava rimettere tutto a posto», per chiudere la sua esperienza nel «lager» di Vibo Valentia. «La battitura era continua - ci ha raccontato in relazione al periodo in Sicilia - ed è un rumore che mi è rimasto in testa». La sua vita, racconta oggi Femia, «è stata distrutta». Azzerato il suo decennale impegno in politica, l’ex sindaco ha dovuto vendere buona parte delle sue proprietà per far fronte alle spese processuali, trovandosi costretto a usare anche il risarcimento incassato da uno dei figli, rimasto in coma per giorni a seguito di un incidente stradale. Figli che, nel frattempo, si sono visti sbarrare la strada: nessuna possibilità di concorrere per posti pubblici, così come di portare avanti la carriera calcistica intrapresa da uno dei tre, stroncata sul nascere a seguito dell’arresto del padre. Ora, dunque, il momento del riscatto. «Finalmente è arrivata l'ufficialità della mia "definitiva" assoluzione - ha commentato Femia con un post su Facebook -. Ringrazio la procura di Reggio Calabria che non si è appellata alla sentenza della Corte d'Appello rendendo così definitiva la mia assoluzione. Ringrazio tutti i legali che mi hanno seguito in tutti questi anni (Scarfò, Macrì, Furfaro, Minniti, Martino e Coppi) , ringrazio la mia comunità di Marina di Gioiosa Jonica che mi è “sempre” stata vicina, ringrazio infinitamente la mia meravigliosa famiglia che in questi lunghi anni non mi ha mai, dico mai, lasciato solo. Un ringraziamento particolarissimo carico di affetto e di amore lo dedico a mia moglie e ai miei meravigliosi figli, sempre presenti. Un calvario giudiziario che si è concluso dopo circa 10 lunghi anni. Dedico questa sentenza definitiva a una donna meravigliosa che mi ha sempre trasmesso i valori della famiglia, dell'onestà, del rispetto delle regole, dell'amicizia, della legalità eccetera: mia madre, venuta a mancare mentre ero "sequestrato" in carcere. Infine rivolgo un caloroso ringraziamento a tutte le persone che conoscendo Rocco Femia non hanno mai "pensato" che potessi essere uno ndranghetista».