Il caldo in carcere si trasforma in un’agonia perché gli strumenti per contrastarlo restano un miraggio. A casa possiamo spalancare le finestre, accendere ventilatori o installare condizionatori; dietro le sbarre, nessuna di queste soluzioni è accessibile. Le giornate trascorrono tra fughe disperate sotto la doccia e indumenti inzuppati d’acqua fresca, indossati subito per prolungare un sollievo effimero. In alcuni istituti si arriva a inondare il pavimento delle celle – trasformandolo in un tappeto liquido – o a lasciare rubinetti aperti per raffreddare bottiglie di fortuna: strategie d’emergenza che prosciugano serbatoi già minati da guasti continui e carenze strutturali.

Tutto questo accade mentre il sovraffollamento medio nelle carceri italiane raggiunge il 134%, con punte che sfiorano il 200% e la gravissima eccezione di San Vittore – come denuncia Antigone – schizzato al 247%. In queste scatole di cemento roventi, ogni corpo in più moltiplica la sofferenza. E sempre l’associazione, nel merito del carcere milanese denuncia che i detenuti vivono in condizioni di caldo asfissiante, con temperature interne che hanno raggiunto i 37 gradi ai piani più alti. «L’unico modo per avere un ventilatore è acquistarlo autonomamente al costo di 30 euro, una cifra spesso fuori portata per chi non ha mezzi propri, e non più di due per cella, anche in celle da 8 posti. Quasi tutti i reparti sono chiusi, impedendo quindi di usufruire della pochissima aria che circola nei corridoi», chiosa Antigone.

Basta uno sguardo per capire quanto sia grave la situazione: la temperatura è un fattore decisivo per il benessere fisico e mentale, soprattutto in uno spazio claustrofobico. Fuori, in libertà, si va al mare, si accendono condizionatori, si godono correnti d’aria; dentro, invece, le celle si trasformano in forni incandescenti. Gli ergastolani ultraottantenni, chi soffre di patologie croniche, i più fragili: nessuno è risparmiato dal rischio di colpi di calore, mentre fuori si riempiono giustamente pagine di giornale sul “dramma degli anziani” senza accorgersi che esistono migliaia di vite rinchiuse tra quattro mura incandescenti. Lo stesso sudore batte sul volto di chi lavora in carcere: agenti, operatori sanitari, educatori. Loro hanno la speranza di tornare a casa ogni sera, ma restano ostaggi delle stesse celle roventi, testimoni impotenti di un disagio che ogni estate si rinnova.

I PIANI DI CONTRASTO?

Il ministero della Giustizia, attraverso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha varato l’acquisto di 1.000 congelatori orizzontali “a pozzetto” da collocare nei corridoi di tutti gli istituti penitenziari. Promessa: conservare meglio cibi e bevande refrigerate durante le ondate di calore. L’iniziativa, voluta dal ministro Carlo Nordio e dal capo Dap Stefano De Michele, vuole essere un gesto di rispetto verso la dignità dei detenuti, in linea con i principi costituzionali di umanità della pena. Ma quei pozzetti, per quanto magari evitino sprechi alimentari, non spengono il forno che ciascuna cella è diventata. La soluzione, per quanto semplice, resta in gran parte ignorata. Basterebbe un ventilatore in ogni cella – un acquisto dall’impatto immediato e dal costo di poche decine di euro – per trasformare un forno umano in uno spazio appena respirabile. Qualche istituto ha già beneficiato di donazioni private o comunali, ma sono sassolini in un deserto di quasi duecento strutture.

Allo stesso modo, non servono tecnologie sofisticate per garantire un minimo di sollievo: basterebbe mettere a disposizione taniche o bottiglie d’acqua fresca in ogni corridoio, rinnovandole costantemente. Non più il rubinetto lasciato aperto fino allo sfinimento del serbatoio, ma una scorta rassicurante che arrivi prima che la disidratazione diventi disperazione. E poi c’è l’aria, l’elemento più elementare eppure più negato. Non bisogna dimenticare il blindo – una pesante porta di ferro con una piccola finestrella che serve esclusivamente al personale di polizia per guardare dentro – che, soprattutto in orario notturno, a volte viene chiuso.

Ogni cella all'ingresso ha delle sbarre che sono tenute chiuse durante il giorno, a meno che i detenuti non usufruiscano del regime a celle aperte (oggi messo seriamente in discussione dal governo), che consente loro di uscire dalle loro camere durante la maggior parte della giornata e passeggiare liberamente nei corridoi della sezione. La notte, per tutti, sia in regime di celle aperte che in quello di celle chiuse, oltre alle sbarre viene chiuso anche la blindo. E di aria non ne passa più. Sarebbe sufficiente tenere le porte aperte durante la notte. Non si tratta di far fuggire nessuno, ma di restituire alle celle la capacità di respirare. Queste misure, semplici e a basso costo, potrebbero attenuare l’arsura che trasforma ogni estate in un’ulteriore condanna. E finché resteranno ignorate, il caldo continuerà a proclamare che dietro le sbarre l’umanità è solo un ricordo lontano.

STRUTTURE INADEGUATE

Nel leggere i rapporti dell’associazione Antigone, si scopre che sono numerose le carceri dove le celle sono sprovviste di doccia, nonostante il regolamento penitenziario del 2000 preveda la loro presenza obbligatoria a partire dal 2005. In regime di celle aperte è possibile utilizzare le docce di sezione, se disponibili. Sempre che ci sia l’acqua, che in alcuni istituti è razionata. C’è poi il problema dell'isolamento, che si acuisce nei mesi estivi. Le carceri sono a tutti gli effetti pezzi di città e vivono delle stesse dinamiche: il rallentamento delle attività ha conseguenze negative e crea solitudine. L’interruzione dell’anno scolastico a giugno, ad esempio, per gli studenti- detenuti significa non avere nulla da fare. E lo stesso vale per molte attività di volontariato, che vanno in pausa. I mesi di luglio e agosto sono quelli roventi sotto ogni aspetto. Forse non è un caso che se si analizzano tutti i dati riportati da Ristretti Orizzonti dal 2002 ad oggi, luglio sia storicamente il mese dei suicidi in carcere.

L’ultima circolare che ha ordinato interventi concreti, purtroppo rimasta inevasa, risale al 2017, a firma dell’allora capo Santi Consolo. La circolare chiedeva di prevedere una diversa modulazione degli orari dei passeggi per evitare che le persone siano all’aria aperta nelle ore più calde della giornata; assicurare e implementare la funzionalità, nei cortili di passeggio, dei punti idrici a getto e nebulizzatori; realizzare, laddove possibile, aree ombreggiate; e, dove c’è una oggettiva carenza di acqua ( come in alcune carceri che presentano queste gravi problematiche), prevedere la fornitura ai detenuti di acqua potabile in bottiglia e di taniche in ogni stanza da utilizzare come riserva in caso di improvvisa mancanza di acqua. La circolare richiedeva anche la riformulazione dei menu giornalieri per prevedere la disponibilità degli alimenti consigliati durante la stagione estiva e, soprattutto, assicurare l’apertura delle finestre delle celle durante le ore notturne per favorire il circolo dell’aria.

Inoltre, nel lontano 2017, il Dap chiese di sensibilizzare l’area sanitaria. E qui si trova, infatti, un problema. C’è di fatto un quasi totale disinteresse dell’amministrazione sanitaria, sia a livello centrale che locale, come se le ondate di calore non avessero alcun impatto sulla salute della popolazione detenuta o che lavora nel carcere. Come se il carcere non facesse parte del territorio su cui operare per prevenire i rischi legati al grande caldo. Tuttavia, la riforma del 2008 aveva sancito il passaggio delle competenze in materia di tutela della salute delle persone detenute dalla Giustizia alla Sanità. Forse è il caso che intervenga anche il ministro della Salute, oltre al ministro della Giustizia.