Piercamillo Davigo porta in tribunale il procuratore di Milano Francesco Greco. Ad annunciarlo, ieri, il Fatto quotidiano, che ha spiegato come a scatenare la reazione dell’ex pm del pool Mani Pulite, di cui lo stesso Greco faceva parte, sia stata l’intervista del capo della procura meneghina al Corriere della Sera, che ha accusato l’ex consigliere del Csm di aver “usato” i verbali di Amara per motivi personali. In primo luogo, dunque, per colpire il suo ex amico Sebastiano Ardita, anche lui togato del Csm, vittima, secondo il collega Nino Di Matteo, di un’opera di dossieraggio, grazie al contenuto ambiguo dei verbali di Piero Amara, ex avvocato esterno dell’Eni, che ha svelato l’esistenza di una loggia denominata “Ungheria” della quale Ardita avrebbe fatto, a suo dire, parte. Ma la questione sarebbe ancora più complicata. Tutto parte proprio dai verbali: secondo Paolo Storari, il pm che stava raccogliendo quelle dichiarazioni, le indagini della procura di Milano sarebbero procedute con lentezza e non per colpe proprie. E proprio per tale motivo si sarebbe rivolto a Davigo, senza seguire le vie formali, per tutelarsi. Da lì tutto è precipitato: l’indagine è diventata di dominio pubblico, le carte sono arrivate ai giornali - secondo la procura di Roma spedite dall’allora segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, ora indagata per calunnia - e la procura di Milano è finita nel caos, con inchieste aperte a Brescia a carico di tutti i protagonisti di questa storia: Storari e Davigo per rivelazione di segreto d’ufficio, Greco per la ritardata iscrizione dei primi indagati, e Fabio de Pasquale e Sergio Spadaro, i due pm che hanno rappresentato l’accusa nel processo Eni-Nigeria, per omissione d’atti d’indagine. Il tutto alla vigilia della nomina del successore di Greco, che assieme alla sua corrente, Magistratura democratica, vorrebbe evitare la venuta di un Papa straniero. Il caos generato dai verbali, dunque, potrebbe rappresentare uno sgambetto eclatante ai danni del procuratore uscente, per il quale il Csm ha avviato un procedimento disciplinare destinato ad estinguersi prima del tempo, dato l’imminente pensionamento. E ciò perché il gioco di accuse incrociate potrebbe cambiare le carte in tavola per la gestione di una procura che potenzialmente tiene in mano il potere economico del Paese.

Le parole di Greco

  Nella sua intervista il procuratore, a novembre in pensione, è chiaro: qualcuno vuole attaccare la procura di Milano, proprio perché esemplare e impermeabile alle logiche che hanno suscitato scandalo negli ultimi anni all’interno del mondo della magistratura. Quel “qualcuno” sarebbe una sorta di “potere occulto” che però tanto occulto non è. Greco, d’altronde, prende la mira e colpisce dritto in faccia: da un lato c’è la politica, restia a farsi controllare e capace di sfiancare i magistrati che non hanno la giusta «tenuta psicologica», dall’altro Davigo, a cui non risparmia nulla, tanto da ritenerlo colpevole di molte cose, a suo dire, assolutamente impensabili per uno che di mestiere, nella vita, ha fatto il pm. Davigo, infatti, ha «fatto uscire dal perimetro del segreto investigativo dei verbali secretati», un atto «irresponsabile, tanto più per un magistrato inquirente, e ha pregiudicato le indagini». Ma se l’intento era proprio tutelare le indagini, com’è stata possibile tanta leggerezza? Greco dà una sua risposta: quell’uscita «era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento e quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante». Non solo: quel modus operandi non ufficiale avrebbe consentito al consigliere del Csm di «diffamare, così come è successo, senza che ci sia la possibilità di una replica dell’interessato. La consegna clandestina infatti ha consentito di costruire una narrazione totalmente priva di riscontri, poi crollata come un castello di sabbia. Quando i magistrati violano le regole che agli altri si impone di rispettare, è un fatto gravissimo e pericoloso». Insomma: Greco è più arrabbiato con Davigo che con il sostituto Storari, colui che l’avrebbe «pugnalato alle spalle», anche a causa della campagna mediatica scatenata dalla vicenda. Eppure, stando alla versione di Davigo, se Greco ha avviato le indagini è proprio grazie a lui: dopo aver ricevuto i verbali, infatti, avrebbe informato il vicepresidente del Csm, David Ermini e il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, che ne avrebbe poi parlato con Greco.

Le indagini

  Il procuratore, nel corso dell’intervista, dà una versione diversa: nessun lassismo da parte della procura risulterebbe agli atti dell’indagine aperta a Brescia, né tantomeno Storari avrebbe sollecitato alcun tipo di indagine, avviata soltanto grazie a Greco stesso: «È stato il sottoscritto a sbrogliare la questione delle iscrizioni imponendo quella di Amara e dei suoi sodali per Ungheria, mentre Storari le aveva volontariamente omesse. Infine, quando ha proposto un cronoprogramma investigativo, lo ha potuto eseguire con la collega Pedio senza alcun limite». Secondo quanto dichiarato dallo stesso pm a Brescia e davanti al Csm, invece, Storari aveva preparato una bozza di richiesta di misure cautelari a carico di Amara, Vincenzo Armanna (grande accusatore di Eni, ritenuto non credibile dal collegio giudicante) e Giuseppe Calafiore, con l’accusa di calunnia. Richiesta o che non sarebbe mai stata controfirmata dai vertici della procura in quanto, secondo la tesi sostenuta da Storari a Brescia, la credibilità di Amara e Armanna andava preservata per non far crollare il processo Eni-Nigeria. E proprio a Brescia il pm ha consegnato delle mail di sollecito inviate a Greco, a dimostrazione del fatto che le sue preoccupazioni erano state palesate.

Una procura spaccata

  La matassa verrà sbrogliata probabilmente a breve, grazie alle indagini in corso. Nel frattempo, però, che l’aria di Milano sia irrespirabile è un dato di fatto. Anche perché il Csm, nel decidere sulla richiesta di trasferimento avanzata da Salvi a carico di Storari, è stato chiaro: l’incompatibilità ambientale non sussiste. Insomma, Storari non si sarebbe comportato poi così male nei confronti di Greco. Che, dal canto suo, afferma di non aver mai visto la lettera firmata da 56 magistrati su 64 a difesa del collega. Una palese presa di posizione alla quale Greco pure rispose, non nascondendo la sua amarezza e puntando il dito contro Storari, pure senza nominarlo. Ma non solo: quel documento era stato preceduto dalla lettera sottoscritta da 27 magistrati il 3 marzo 2020, nella quale si lamentava la mancanza, nel progetto organizzativo della procura (bocciato dal Csm), di una indicazione e di un’analisi particolareggiata dei dati statistici relativi allo stato delle pendenze e ai flussi di lavoro, nonché la sproporzione tra le attribuzioni e il numero delle assegnazioni dei magistrati addetti al dipartimento reati economici transnazionali (cioè quello che ha indagato su Eni) rispetto al numero di magistrati assegnati ad altri dipartimenti che trattano reati gravi. Accuse che Greco rispedisce al mittente, mettendo sul piatto i risultati conseguiti: tanti, dice, forse troppi. Al punto da dare fastidio.