Potremmo pensare che, dopo l’esperienza al Viminale, Matteo Salvini abbia segretamente assunto anche il ruolo di guardiano dei diritti umani, e invece no: è sempre ministro dei Trasporti. Eppure il suo recente appello a circoscrivere il reato di tortura suona come un’uscita fuori campo. In molti sostengono che, con treni in perenne ritardo e autostrade intasate, il titolare delle infrastrutture farebbe meglio a dedicarsi a binari e svincoli, piuttosto che rimettere mano a un articolo del codice penale che non lo riguarda direttamente.

In conferenza stampa a Montecitorio, la Lega ha svelato il suo “pacchetto carceri”: taser per gli agenti penitenziari, difesa legale a spese dello Stato e tagli al reato di tortura. il vicepresidente del Consiglio Salvini ha sottolineato il valore “insostituibile” del lavoro della polizia penitenziaria, come se qualcuno avesse insinuato il contrario. Il punto però è un altro: dietro l’etichetta del sostegno alle forze dell’ordine potrebbe nascondersi la volontà di alleggerire le conseguenze penali per chi, già oggi, rischia di finire sotto processo.

Il reato di tortura è comparso nel nostro codice penale il 14 luglio 2017, con la legge 110, inserito nell’articolo 613 bis. Da allora abbiamo assistito a un numero non trascurabile di segnalazioni da parte di detenuti che si sono rivolti all’associazione Antigone, denunciando di essere stati vittime di violenze. Diverse di queste segnalazioni hanno dato luogo a veri e propri procedimenti per tortura, segno che la norma non è rimasta lettera morta.

Simona Filippi, avvocata di Antigone, nell’ultimo rapporto dell’associazione da poco presentato, ha dedicato un capitolo dal titolo: “Lo sguardo di Antigone sulla tortura. L’analisi di un anno di contenzioso”: racconta come quattro vicende nate da segnalazioni di detenuti vittime di presunte violenze - siano arrivate almeno in parte al traguardo di una sentenza.

A Viterbo, il 27 marzo 2024, il giudice ha condannato l’allora direttore del carcere per aver ignorato l’ordine di trasferire Sharaf Hassan, un ragazzo egiziano allora minorenne, in un istituto penitenziario minorile: il giovane si tolse la vita il 23 luglio 2018, ma il tribunale ha escluso ogni concorso in omicidio colposo.

Quel processo ha spalancato una porta sul disinteresse verso le norme sui trasferimenti, tanto che al carcere di Viterbo nessuno pareva conoscere circolari e direttive del Dap, materia che il direttore stesso ammise di non aver mai studiato (sentenza 74/ 2024 Tribunale di Viterbo, pag. 60).

A Torino, la Corte d’Appello del 14 novembre 2024 ha ribaltato invece il giudizio di primo grado: l’ex direttore era stato accusato di non aver denunciato accuse di violenze arrivate da alcuni detenuti, ma i giudici hanno ritenuto che “comportamenti incongrui” non bastassero a delineare un reato preciso. Mentre il Gup di primo grado voleva indagare anche su segnalazioni generiche, l’Appello ha fissato il principio che si denuncia solo quando il fatto è dettagliato e certo ( sentenza 5377/ 2024 Corte d’Appello di Torino, pagg. 22- 23), e ora la Cassazione dovrà decidere.

A Reggio Emilia, il 17 febbraio 2025 otto agenti penitenziari hanno incassato una condanna per abuso d’autorità e falso: le telecamere hanno ripreso un detenuto incappucciato trascinato, denudato e lasciato solo in isolamento per oltre quarantacinque minuti, mentre si infliggeva tagli per disperazione. Il giudice ha parlato di un intervento “rudimentale e maldestro”, derubricando la tortura in abuso d’autorità ma senza sminuire la gravità delle immagini ( sentenza 91/ 2025 Tribunale di Reggio Emilia, pagg. 39- 50).

Infine a Firenze, nella sentenza d’Appello del 3 aprile 2025 — con motivazioni attese entro novanta giorni — è stata confermata la decisione del Tribunale di Siena sui fatti dell’ 11 ottobre 2018 nel carcere di San Gimignano. Un gruppo di agenti ha aggredito un detenuto col pretesto del trasferimento alla doccia: lo hanno strattonato, colpito con pugni e calci, umiliato con insulti razzisti e infine abbandonato semi- nudo in cella senza letto né coperta. Proprio in quella sentenza di primo grado il tribunale aveva definito con chiarezza i confini tra uso legittimo della forza — necessario, proporzionato e previsto dalla legge — e abuso d’autorità, che oltrepassa quei limiti e si trasforma in tortura ( sentenza Tribunale di Siena 9 marzo 2023).

LE ALTRE BATTAGLIE DI ANTIGONE

Accanto ai processi per tortura, Antigone ha assistito famiglie di detenuti suicidi o morti per cause sanitarie, e ha continuato a segnalare episodi di violenza in carcere. Negli ultimi mesi del 2024 sono arrivati due esposti importanti: uno per violenze alla casa di reclusione “Opera” di Milano ( 10 settembre 2024) e uno per fatti a Pagliarelli di Palermo ( 20 dicembre 2024). Per la prima volta è stato denunciato un caso in un istituto penale minorile, il “Cesare Beccaria” di Milano, e uno nel reparto “Sestante” del Lorusso Cotugno di Torino, destinato a detenuti con patologie psichiatriche. Uno di questi nuovi esposti ha già portato a richiesta di rinvio a giudizio.

Tra i nuovi procedimenti, spicca quello nato da un esposto di Antigone per un pestaggio al 23enne detenuto della Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia. La denuncia – depositata il 27 febbraio 2024 – racconta di tre agenti che hanno aggredito il giovane in uno stanzino, provocandogli un’emorragia interna che ha reso necessaria un’operazione d’urgenza all’ospedale Borgo Roma di Verona. Se la visita al carcere è arrivata solo la mattina dopo il pestaggio, i medici del pronto soccorso hanno chiarito che, se fosse stato rimandato, il detenuto sarebbe potuto morire. L’ 8 maggio 2025 la Procura di Verona ha chiesto il rinvio a giudizio per lesioni e falso a carico di cinque agenti; l’udienza preliminare è fissata per il 16 luglio 2025.

LA LINEA SOTTILE TRA GIUSTIZIA E ABUSO

Il bilancio è inquietante: da una parte, la legge che punisce la tortura sta producendo processi e condanne; dall’altra, emergono riaperture e richieste di attenuazione di quella stessa legge. L’iniziativa di Salvini punta a ridisegnare il confine tra uso legittimo e abuso di forza, in un momento in cui le inchieste di Antigone mostrano come, anche con norme più severe, la distanza tra ciò che è giusto e ciò che avviene davvero dietro le sbarre rimanga enorme.

Se l’obiettivo è davvero difendere chi è incaricato di mantenere l’ordine, non si tratta di ridurre tutele penali ma di rafforzare formazione, controlli esterni e trasparenza nelle carceri. Un ministro dei Trasporti saprebbe forse come dare un’accelerata alle tratte in ritardo, ma se davvero vuole occuparsi di carcere, farebbe meglio a chiedere un giro negli istituti, a guardarsi negli occhi con chi su quelle responsabilità ci lascia la pelle. Solo così potrà capire dove davvero intervenire.