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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PALAZZACCIO
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla Procura generale contro l’ordinanza con cui la Corte d’appello di Bari aveva disposto la mancata consegna di un cittadino romeno condannato nel suo Paese per corruzione, ritenendo sussistente un rischio concreto per la sua salute psichica in caso di trasferimento. Una decisione che, pur in controtendenza rispetto al principio di fiducia reciproca tra Stati membri dell’Unione Europea, trova fondamento nella tutela del diritto alla salute come valore assoluto, sancito dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli articoli 2 e 32 della Costituzione italiana.
La vicenda giudiziaria trae origine dal mandato d’arresto europeo emesso dalle autorità romene per l’esecuzione della condanna inflitta ad A. J. il 6 aprile 2022 e divenuta definitiva nel marzo 2023. Con sentenza del 12 ottobre 2023, la Corte d’appello di Bari aveva disposto la consegna, poi confermata dalla Cassazione il 3 novembre 2023. Tuttavia, in sede esecutiva, l’emergere di gravi problemi psichiatrici ha spinto la stessa Corte d’appello a sospendere il trasferimento e ad attivare una complessa istruttoria finalizzata ad accertare la compatibilità tra le condizioni di salute dell’interessato e il regime detentivo previsto in Romania.
La perizia medico-legale disposta in quella fase, integrata successivamente da un supplemento di accertamenti e dall’esame dei consulenti di parte, ha evidenziato che A. J. è affetto da un disturbo depressivo maggiore, di entità grave, con precedenti episodi di autolesionismo e un alto rischio suicidario. Come sottolineato dallo stesso consulente del Procuratore generale, “ad ogni persona in queste condizioni l’inserimento in carcere determinerebbe un aumento considerevole del rischio autolesivo e suicidario, non solo in un altro Paese ma anche in Italia”.
Le valutazioni peritali hanno escluso che il sistema penitenziario romeno possa offrire un trattamento sanitario adeguato o equiparabile a quello garantito in Italia, dove A. J. è seguito in un contesto terapeutico territoriale integrato. Secondo i giudici di Bari, le cure ipotizzate in Romania – in regime detentivo – non sarebbero idonee a prevenire il rischio di un deterioramento grave e irreversibile dello stato psicopatologico, né consentirebbero la prosecuzione efficace del trattamento in atto. Da qui la decisione di “non farsi luogo alla consegna”, adottata con ordinanza del 20 maggio 2025.
La Procura generale ha impugnato tale ordinanza sostenendo che si trattasse di un atto abnorme, lesivo del principio del mutuo riconoscimento e contrario alla decisione quadro 2002/584/GAI, che disciplina il mandato d’arresto europeo. In particolare, ha denunciato la violazione dell’articolo 23 (par. 4) della decisione quadro, che consente la sospensione della consegna solo per un tempo limitato, e ha contestato l’introduzione, di fatto, di un nuovo motivo di rifiuto, fondato su circostanze - le condizioni di salute - non previste espressamente dalla normativa europea o nazionale.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso, ha valorizzato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea e della Corte costituzionale italiana. In particolare, ha fatto riferimento alla sentenza CGUE 18 aprile 2023 (C-699/21), la quale ha stabilito che la consegna deve essere rifiutata qualora vi siano “motivi seri e comprovati” per ritenere che l’esecuzione del mandato esporrebbe la persona a un rischio reale di riduzione significativa della propria aspettativa di vita o di deterioramento rapido, significativo e irrimediabile della sua salute. La stessa sentenza ha chiarito che non è consentito differire indefinitamente l’esecuzione in presenza di patologie gravi e croniche: in tali casi, l’unica soluzione conforme al diritto dell’Unione è il rifiuto della consegna.
In linea con questo orientamento, anche la Corte costituzionale italiana, con la sentenza n. 177 del 2023, ha delineato il modello procedurale che consente alle Corti d’appello di pronunciarsi sul rifiuto della consegna per ragioni legate alla tutela della salute. Tali decisioni devono essere adottate in composizione collegiale, con le garanzie del contraddittorio e la possibilità di ricorso in Cassazione, al fine di assicurare il pieno rispetto dell’articolo 111 della Costituzione.
Richiamando anche il principio dell’articolo 1, (par. 3), della decisione quadro, la Cassazione ha ribadito che la tutela dei diritti fondamentali, inclusi il diritto alla salute e il divieto di trattamenti inumani o degradanti, prevale sulle esigenze di cooperazione giudiziaria, qualora il rischio per l’integrità psicofisica dell’interessato sia serio, concreto e non superabile. In tal senso, ha sottolineato come la Corte di appello abbia agito nel pieno rispetto della procedura tracciata dal diritto UE, instaurando un dialogo con le autorità romene, chiedendo garanzie sulle modalità detentive e valutando in maniera approfondita le relazioni mediche.
La Corte ha infine affermato un principio di diritto destinato ad avere rilevanza di tipo sistemico, nella parte in cui scrive che «in tema di mandato di arresto europeo, qualora successivamente alla decisione che dispone la consegna emergano motivi seri e comprovati di ritenere che la consegna esponga la persona richiesta a un rischio reale di riduzione significativa della sua aspettativa di vita o di deterioramento rapido e irrimediabile del suo stato di salute, la Corte di appello, quale giudice dell’esecuzione, può rifiutare la consegna con ordinanza ricorribile in cassazione ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 69 del 2005».