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«La Commissione adotterà le misure necessarie per sospendere di 6 mesi le contromisure della Ue» : con questa formuletta Bruxelles ha ufficializzato ieri la decisione di congelare di sei mesi la risposta ai dazi americani del 15%, che entreranno invece in vigore il 7 agosto, data nella quale sarebbe dovuta scattare anche la replica europea. Per qualcuno si tratta di tregua armata, per qualcun altro di resa strategica mascherata. In ogni caso la decisione della Commissione evidenzia ulteriormente quel che era già chiarissimo: la partita dei dazi non è finita. Al contrario è appena cominciata.
Però sarebbe più opportuno, forse, usare il plurale e parlare di distinte per quanto intrecciate partite. C’è quella economica, in piena luce. C’è anche quella politica, dissimulata in penombra. L’Unione ha scelto, non senza dissensi e contrasti, di seguire una strategia accomodante nella consapevolezza che quelle tariffe al 15% decretate dal signore di Washington sono solo una cornice. Il quadro reale sarà definito dagli accordi sulle singole merci e sulle eventuali sanzioni. Trump, che è un mercante abile e un pokerista evidentemente esperto, si è tenuto l’asso evitando di inserire nell’intesa il ridimensionamento al 15% dei dazi su automobili e componentistica correlata, attualmente al 27,5%, e sull’acciaio, oggi al 50%.
La Commissione, nella sua dichiarazione di ieri, segnala appunto l’impegno ad abbassare i dazi sulle auto, questione di vitale importanza per la Germania, e “il trattamento specifico concordato per alcuni prodotti strategici”. Solo quando i negoziati su quelle singole voci si saranno conclusi si potrà trarre un bilancio reale. Non ci vorranno settimane ma più probabilmente mesi. Proprio per evitare di condurre quelle trattative in una clima da scontro frontale la Commissione europea ha adottato una strategia che a molti pare, e in parte certamente è, arrendevole.
La sfida politica è molto meno esplicita e soprattutto a lanciarla non è stato per primo Donald Trump. Lui stesso nella sua prima presidenza, ma anche Joe Biden e lo stesso Obama, si erano già impegnati nella missione di piegare l’Europa. Da questo punto di vista le differenze tra le amministrazioni democratiche e quelle repubblicano- trumpiane sono questione di sfumature. Il presidente americano è partito senza nascondere l’insofferenza per una trattativa con l’intera Unione invece che Stato per Stato. Poi ha sterzato
coprendo di elogi la presidente Ursula ma senza mai perdere di vista l’obiettivo finale, la spaccatura di fatto se non di nome dell’Unione europea. Un negoziato con l’Unione nella cornice ma Stato per Stato nella sostanza.
Trump è a un passo dal raggiungere l’obiettivo. La Germania sembra aver già avviato contatti neppure troppo discreti per difendere i propri interessi nazionali. L’Italia, forse con minor visibilità e clamore, farà lo stesso. Nel varco si incuneeranno i molti. La stessa strategia morbida di palazzo Barleymont non va giù ai Paesi, Francia in testa, e alle forze politiche disseminate nei vari Paesi, come il Pd in Italia, che spingono per un fronteggiamento molto più muscolare e che, a fronte di posizioni considerate a torto o a ragione una resa della Commissione, potrebbero decidere di forzare la mano.
La realtà è che l’Europa è arrivata allo showdown in condizione di estrema debolezza. Per le sue eterne divisioni interne, per il ritardo a questo punto forse incolmabile nel processo di integrazione, ma anche perché messa sotto scacco dal fattore Putin. Il fattore principale che ostacola una reazione dura dell’Unione è il terrore di un disimpegno militare americano che lascerebbe l’Europa quasi indifesa a fronte di una Russia percepita, anche in questo caso poco importa se a torto o a ragione, come minaccia gravissima e incombente. È soprattutto grazie a quella carta vincente a priori che Trump ha fatto sin qui ballare l’Europa al ritmo della sua musica: sulla spesa militare, sui dazi, sugli acquisti dell’energia e ora su una frammentazione irrecuperabile dell’Unione quale sarebbe quella prodotta dalla trattativa Stato per Stato.
Ma quell’arma che permette agli Usa di tenere sempre sotto scacco e ricatto l’Europa, lo spregiudicato Donald non se la è costruita da solo. La ha ricevuta in eredità dall’amministrazione Biden e dalla impostazione della crisi ucraina scelta da quella amministrazione democratica anche in funzione antieuropea. Trump si limita a usare quella clava con la delicatezza propria dell’uomo.