Ho saputo o capito da buona fonte che i figli del compianto Silvio Berlusconi, ma soprattutto Pier Silvio, non hanno gradito una lunga intervista- confessione del cardinale Camillo Ruini alla Stampa per il passaggio che li riguarda. E, in effetti, non appare incoraggiante per le tentazioni che essi avvertono ricorrentemente, o si lasciano attribuire da cronisti e retroscenisti, di seguire il padre anche nell’avventura politica.

Il loro cognome del resto è rimasto e rimarrà sempre - ha assicurato il segretario, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani - nel simbolo di Forza Italia. Un nome anch’esso, come un marchio, d’improbabile rimozione. E ciò per quanta concorrenza possano procurare partiti che si rifanno anch’essi all’Italia, a cominciare dai Fratelli d’Italia, appunto, di Giorgia Meloni. Proprio con questo nome il partito della premier è riuscito a dare alla destra le dimensioni neppure immaginate da Gianfranco Fini con la sua Alleanza Nazionale subentrata al Movimento Sociale, tanto modesta di voti da confluire nel partito più largo offertole proprio da Berlusconi.

Salvo uscirne quando a Fini scivolò il piede sul pedale della insofferenza. O ne fu “cacciato”, come lo stesso Fini sostenne dopo avere pubblicamente sfidato l’allora presidente del Consiglio a farlo. Il cardinale Ruini, che di Silvio Berlusconi vincitore delle elezioni politiche del 1994 divenne dichiaratamente amico, e non solo estimatore, ha detto a proposito dei figli, testualmente, non vedendone “la prospettiva” della discesa in campo, come diceva il padre: «Come leader politico Silvio Berlusconi aveva delle doti di carisma. Ma si tratta di talenti personali nella vita pubblica che difficilmente passano da padre in figlio».

Come nel modesto ma prestigioso partito repubblicano accadde a Giorgio La Malfa non succedendo al padre perché preceduto da Giovanni Spadolini, arrivato da presidente a Palazzo Chigi, dove Ugo La Malfa si era affacciato come vice di Aldo Moro tra novembre 1974 e febbraio 1976. Nel richiamo quindi del cardinale Ruini alla improbabilità di una successione dinastica nella politica peraltro di una Repubblica si può anche ritenere che non ci sia stato nulla di veramente personale contro i figli di Berlusconi. Marina, poi, si è spinta pubblicamente di suo sul terreno dei cosiddetti “diritti civili”, dove è facile trovare problemi seri con la Chiesa.
Piuttosto sospetto - con tutte le riserve che meritano i sospetti, anche quelli di tendenza o tradizione andreottiana basati sulla convinzione di “indovinare”- che ai figli di Berlusconi, ma anche al buon Tajani, abbia potuto dare fastidio il riconoscimento del cardinale Ruini al partito della «davvero molto brava» Giorgia Meloni di avere fatto entrare l’Italia in una «certa stabilità».

Garantita dal fatto che «un partito come Fratelli d’Italia può contare all’incirca sul volume di consensi che aveva Forza Italia nel periodo più favorevole». E non ha più.