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President Donald Trump speaks to reporters in the Oval Office at the White House in Washington, Wednesday, March 26, 2025. (Pool via AP)
Lo stato della California fa causa a Trump per fermare l’imposizione dei dazi. «Le tariffe illegali di Trump stanno creando caos per le famiglie, le imprese e l’economia, aumentando i prezzi e minacciando posti di lavoro», ha dichiarato Gavin Newsom, governatore del golden state, nell’annunciare l’azione legale che è stata depositata ieri.
Questa costituisce la prima considerevole sfida interna alla politica commerciale dell’attuale amministrazione statunitense. Newsom, il cui nome è tra quelli in lizza per la corsa democratica alla Casa Bianca del 2028, potrebbe in questo modo assumere, e farsi riconoscere dal partito, un ruolo di primo piano nell’opposizione al Tycoon, finora assente. Quella californiana è la quinta economia mondiale, il cui prodotto interno lordo è di 3.9 miliardi di dollari, il che la rende la prima fra quelle degli altri stati americani.
La California è inoltre lo stato col maggior tasso d’importazioni, con uno scambio commerciale del valore di 675 miliardi di dollari, che supporta milioni di posti di lavoro all’interno dello stato. Nel frattempo Trump si prepara ai negoziati sulle tariffe d’importazione. Ieri il presidente Usa ha partecipato all’incontro, insieme al segretario del Tesoro, Bessent, e al segretario del Commercio, Lutnick, con la delegazione giapponese, giunta a Washington per negoziare su dazi, supporto militare ed equità commerciale. Sempre nella giornata di ieri il Tycoon ha firmato un ordine esecutivo per disporre un’indagine sulla produzione e sull’importazione delle terre rare.
L’indagine verrà svolta al fine di «determinare gli effetti sulla sicurezza nazionale delle importazioni di minerali critici lavorati e dei loro prodotti derivati», si legge nell’ordine esecutivo, «I minerali critici, compresi gli elementi delle terre rare, sotto forma di minerali lavorati sono materie prime essenziali e fattori produttivi critici necessari per la sicurezza economica e nazionale». La base giuridica del provvedimento è la sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, la stessa che ha permesso l’introduzione di dazi al 25% su acciaio e alluminio e l’indagine sulle importazioni di rame.
Lo scorso mese Trump ha firmato un ordine esecutivo finalizzato a stimolare la produzione nazionale di materie prime critiche, sostenendola con prestiti e finanziamenti. Negli Stati Uniti è presente solo una miniera di terre rare e non vi sono fonderie per la loro trasformazione. Ragione per cui Trump ha imposto a Zelensky l’accordo sulle terre rare, del valore di 442 miliardi di euro, nel solco delle trattative per la pace in Ucraina. Mossa che permetterebbe di ridurre la dipendenza statunitense dalla Cina per le importazioni di minerali critici.
Lo scorso venerdì Pechino, in risposta alle politiche doganali di Washington, ha annunciato restrizioni ad un ampio spettro di terre rare. Nel territorio della Repubblica Popolare vi sono i più grandi giacimenti di terre rare del mondo, stimati in circa 44 milioni di tonnellate, ed essa detiene il monopolio della raffinazione, trasformando il 90% di tali minerali, a livello globale. Forse per questa ragione, e per evitare che i suoi partner si volgano a oriente, Trump ha posto come condizione per l’avvio delle negoziazioni, l’isolamento della Cina.
Pechino si è però resa disponibile ad avviare colloqui sui dazi, a condizione che l’amministrazione Trump assuma una serie di misure tra cui la dimostrazione di rispetto tenendo a freno i giudizi denigratori formulati da figure di primo piano dell’amministrazione, l’assunzione di una posizione coerente da parte americana, la volontà di affrontare i timori cinesi sulle sanzioni Usa e su Taiwan, e la nomina di un referente ad hoc per i negoziati, che contribuisca a stilare un accordo che possa essere siglato da Trump e Xi Jinping in occasione di un loro futuro incontro.
Nell’attesa che il clima negoziale si distenda il presidente cinese ha fatto rotta verso il Vietnam, per un viaggio di una settimana che lo porterà anche in Malesia e Cambogia, presentandosi come partner affidabile e aperto al commercio, al contrario di Trump. Il Vietnam è un importante polo manifatturiero e l’economia cambogiana si fonda sulla produzione di abbigliamento e calzature, entrambi i paesi sono stati destinatari di pesanti tariffe d’importazione da parte degli Stati Uniti, pari al 46% per il Vietnam e al 49% per la Cambogia. La politica doganale di Trump rischia di aprire nella regione, fortemente dipendente dalle esportazioni, vasti spazi di manovra alla Cina.