«La scissione è una sfida per far perdere il Pd e ha un nome e un cognome, quello di Massimo D’Alema». Giorgio Tonini, senatore del Pd e presidente della commissione Bilancio, analizza le scelte degli scissionisti, «che mettono in crisi anche il governo che dicevano di voler portare a fine legislatura» .

Partiamo dalle ragioni di questa scissione, ormai nei fatti e a breve anche in Parlamento. Lei le ha capite?

Prima delle ragioni io credo venga il leader di questa operazione politica, che si chiama Massimo D’Alema. Gli altri, compreso Pierluigi Bersani, seguono questa impostazione. D’Alema è un politico che può essere criticato, ma certamente ha una visione alta della politica e pone grandi questioni: ecco, in questo caso la sua grande questione è la concezione del partito.

Proviamo a spiegarla?

Secondo la visione di D’Alema, il Pd avrebbe dovuto avere una governance interna simile a quella di un aereo: una fusoliera centrale, un’ala destra e una sinistra. Era il cosiddetto centralismo democratico, lo schema sul quale si è sempre retto il Pci, un gruppo dirigente addensato al centro e posizioni tollerabilmente eterodosse verso destra e verso sinistra che vengono sintetizzate dal gruppo dirigente centrale. Questa sua idea è stata contestata dal punto di vista teorico da Veltroni, che ha posto le premesse di un altro tipo di partito. Solo con Renzi entra in crisi, perchè il segretario non viene scelto con una mediazione al centro ma con una procedura apertamente competitiva. Proprio questo, nel 2013, ha finito per collocare D’Alema non più nella fusoliera - magari accanto al pilota ma comunque come colui che dava la rotta - ma su un’ala.

C’è chi, forse più banalmente, parla di vendetta nei confronti di Renzi...

Io penso che sbagli chi pensa che D’Alema voglia vendicarsi di Renzi perché non è diventato commissario europeo. Questa è una visione meschina. D’Alema vuole vendicarsi di Renzi e cacciarlo dal partito perché ha messo in atto un’impostazione che non contempla più il modello di partito cui D’Alema è affezionato. E allora ecco cosa è questa scissione: D’Alema incarna una posizione perdente che non gli consente di ottenere una rivincita sul campo dell’avversario, e allora scommette su un altro scenario.

Ma se l’obiettivo è stare nella fusoliera centrale dell’aereo, come può tornarvi?

Il disegno è chiaro: far perdere il Pd, così sarà costretto a liberarsi di Renzi e poi trattare il rientro. Del resto, questo D’Alema lo ha detto esplicitamente: ha tanti difetti ma non quello di non essere chiaro.

Eppure si è anche detto che la diaspora silenziosa della sinistra del Pd sia iniziata già da tempo e che questa sia la rottura definitiva. Così il Pd rimane un partito di sinistra?

Messa così rischia di diventare una disputa teologica. Il Pd è un partito di sinistra riformista, ovvero che si cimenta con la sfida del governo. Esiste anche la sinistra, che una volta si chiamava massimalista, che preferisce la testimonianza alla sfida del governo. Il Pd è un modo di essere sinistra e non a caso fa parte del Partito Socialista Europeo. Su che cosa debba essere la sinistra oggi in Italia il dibattito rimane aperto, ma tutte le idee sono compatibili dentro un partito e infatti, messa in questo modo, la scissione non si spiega.

In che senso?

Mi chiedo: si rafforza la sinistra uscendo dal Pd e formando un gruppettino di una trentina di parlamentari? Non mi sembra che così le ragioni della sinistra si rafforzino. No, si esce perchè si prova a far fallire l’esperimento del Pd e il suo essere in discontinuità rispetto ad una tradizione di sinistra italiana comunista. Oggi siamo in un mondo diverso e anche il partito è diverso, per questo l’idea di D’Alema guarda indietro anzichè avanti.

Non rimprovera nulla a Renzi? La minoranza ha lamentato, da ultimo, la mancata autocritica.

Renzi ha pregi e difetti. Il pregio maggiore è il coraggio, che rasenta anche la temerarietà. Ha difetti, uno dei quali è un eccesso di protagonismo individuale e una difficoltà a fare lavoro di squadra vero. Ma se vogliamo mettere sulla bilancia il carattere di Renzi e quello di D’Alema non so quanta strada facciamo. Io non ho mai pensato di uscire dai Ds perchè non mi piaceva il carattere di D’Alema, così trovo avvilente che qualcuno possa motivare la sua uscita da un partito così.

Eppure, anche dal punto di vista politico, non tutto è stato un successo.

Renzi ha fatto errori ma li ha ammessi, si è dimesso da Presidente del consiglio e anche da segretario, quindi è chiaro che non è andato tutto bene. Renzi ha portato il Pd alla più grande vittoria alle europee, con un consenso mai raggiunto se non dalla Dc 50 anni fa, e alla più pesante sconfitta strategica degli ultimi anni, con il referendum.

Parliamo di date. Il congresso quando si farà?

La scadenza delle amministrative è già prevista e non si può fare il congresso mentre gli altri fanno la campagna elettorale. Io penso che, in un partito strutturato come il Pd, ogni candidato sappia su chi può fare affidamento sul territorio. C’è tutto lo spazio per un confronto serio, nei tempi previsti dallo statuto.

La legislatura, invece, arriverà al 2018?

A questo proposito, io credo che la scissione renda molto problematico il durare della legislatura.

Perché?

Io immagino che, in autunno, quelli che usciranno dai gruppi alla Camera e al Senato - che lo vogliano o no - saranno costretti dai fatti a fare campagna elettorale attraverso la guerriglia parlamentare, perché tra pochi giorni di loro non si parlerà più e, se voteranno sempre come il Pd, qualcuno si chiederà perché sono usciti. La scissione, fatta nel nome della durata della legislatura, rischia di mettere in moto un processo di conclusione anticipata.

Lei ha scritto, dopo le convulse vicende dei giorni scorsi, che “la politica è una scienza esatta”. Che cosa intendeva?

La mia è stata una provocazione, ma la politica ha le sue leggi: se tu metti in atto certi comportamenti, alla fine questi avranno degli effetti in modo difficilmente reversibile. Se si comincia a rendere abituale il differenziarsi nel voto in Parlamento - e noi siamo arrivati ad alcuni che non hanno votato nemmeno qualche fiducia al governo - questo innesca una dissoluzione interna difficilmente controllabile, perché il pluralismo di un partito è coessenziale alla disciplina nelle sedi istituzionali. Tanto più un partito è plurale al suo interno, tanto più poi deve essere chiaro che nel momento del voto si è tutti uniti. Se invece si diffonde il comportamento difforme, questo retroagisce negativamente sul pluralismo.

Con quali conseguenze?

La maggioranza, allora, sarà tentata di dire che la prossima volta questi parlamentari non torneranno in Parlamento, perché è impossibile governare con un pezzo che vota contro. Io tante volte ho detto ai miei colleghi che votavano in maniera difforme: “guardate che questa è una strada senza ritorno. Nessuno vi caccia via, ma a un certo punto vi trovate fuori da soli”. E purtroppo non c’è eccezione a questa regola. Che cosa successe con l’Unione di Prodi? Le componenti minoritarie mettevano in discussione tutti i giorni il governo e il Pd, nel 2008, andò da solo alle urne, non per cattiveria ma non si può credibilmente ripresentarsi agli elettori con questa contraddizione interna.

E quindi gli scissionisti sono quelli che ragionevolmente non sarebbero stati ricandidati?

Si è iniziata a diffondere la sensazione che qualcuno, nella prossima tornata elettorale, sarebbe rimasto a casa, e quelli che pensavano di essere tra questi hanno cominciano a guardarsi intorno e, se la strada dentro il partito è preclusa, ne cercano un’altra fuori dal partito. Poi, naturalmente, questo sistema elettorale rende meno disincentivante l’uscita, perché si può provare ad andare in Parlamento anche col 3% dei voti, almeno alla Camera.

Ma il Pd come si presenterà alle prossime elezioni?

Gli elettori, quando sarà il momento, vorranno capire da noi se c’è una proposta di governo che sappia farsi carico dei grandi problemi del Paese. Aspettano un messaggio di umiltà, ma anche risposte non miracolistiche. Ecco, dal Pd ci si aspetta questo e non che parliamo di noi stessi.

Al netto della scissione?

La scissione è una sfida, un atto per far perdere il Pd. In questo modo però vincerà qualcun altro: in questo senso la scissione è un atto che resta folle e irresponsabile nei confronti del Paese.