Finestre spalancate al Nazareno, iniziano le pulizie di primavera. Fuori il vecchio e dentro il nuovo, la prima testa a cadere è quella del tesoriere di stretta fede renziana, Francesco Bonifazi. Al suo posto - dopo 24 ore in cui l’ipotesi del bersaniano Antonio Misiani aveva generato le prime tensioni - ha accettato l’invito l’ex capogruppo al Senato, Luigi Zanda. Come presidente al posto di Matteo Orfini, invece, si fanno più insistenti le voci di un possibile arrivo dell’ex premier Carlo Gentiloni. Alla vicepresidenza, invece, Zingaretti avrebbe scelto il primo volto femminile della sua squadra: Paola de Micheli, quarantacinquenne deputata piacentina, poco nota al pubblico televisivo ma ingranaggio essenziale della campagna alle primarie del neosegretario. Da coprire rimarrebbe un altro posto da vicesegretario, pare anche questo assegnato in quota rosa.

Finito l’organigramma del nuovo cerchio di comando, tuttavia, iniziano i primi crucci in vista dell’assemblea del 17 marzo. Da sempre pentolone ribollente di tutti i malesseri dem e spesso dagli esiti imprevedibili, l’assemblea è composta non solo dai delegati eletti con le liste bloccate su scala nazionale con le primarie, ma anche dalle due delegazioni parlamentari di Camera e Senato. E qui spunta il primo bastone tra le ruote del carro del vincitore.

Nei gruppi parlamentari, infatti, la maggioranza zingarettiana è in minoranza rispetto ai renziani. Risultato: di 160 eletti in Parlamento, i delegati in assemblea sono 100 e il rischio è che il travaso di renziani sbilanci gli equilibri stabiliti dal voto ai gazebo e sovra rappresenti la minoranza. A rigore, la prossima Assemblea servirà a incoronare Zingaretti e a tracciare le sue linee programmatiche, dunque ancora coperta dalla pace post- voto. In futuro, però, una maggioranza risicata potrebbe far male al nuovo segretario.

Di qui impasse. I gruppi parlamentari dovevano nominare oggi i delegati, ma visti gli invertiti rapporti di forza è comparso quello che in Transatlantico chiamano “lodo Franceschini”: in Assemblea partecipino tutti e 160 i parlamentari. Così, si eviterebbe di falsare troppo il risultato dei gazebo e anche di creare i primi dissidi interni a poco più di 24 ore dall’elezione di Zingaretti. Mozione gradita agli zingarettiani, non altrettanto dai renziani. Per ora, tutto tace. Le riunioni sono in corso ma gli esiti non sono ancora stati certificati e potrebbero slittare. Intanto, Zingaretti ha provato a sedare i primi nervosismi sentendo i due capigruppi Andrea Marcucci e Graziano Delrio e ribadito che vede «una bella volontà di collaborare e mi sembra che questa bella volontà ci sia da parte di tutti per aprire una bella stagione». Intanto, da sinistra, è iniziata la manovra di avvicinamento. I complimenti a Zingaretti arrivano indistintamente da tutta la galassia della sinistra, con particolare slancio da parte degli ex scissionisti. Salutano il nuovo segretario il governatore toscano Enrico Rossi, che ha gradito la sua presa di posizione sulla Tav; l’ex presidente del Senato Piero Grasso e anche Roberto Speranza, i quali hanno auspicato “un cambio di rotta” da parte dei dem, con uno slancio mai sentito con la gestione precedente. Speranza si è spinto ad aggiungere che «ora col Pd parleremo», e i bersaniani hanno già iniziato a discutere di come rigettare le basi per una coalizione. Con un percorso ragionato, magari, ma non troppo lungo perchè le europee sono alle porte.