Il voto finale in Senato sulla riforma della giustizia? «Non ho ancora deciso cosa farò». Il referendum? «Se Meloni perde dovrebbe dimettersi, hai voglia a dire che non è un voto su di lei...». Gratteri? «È l’unico capace di sfondare lo schermo, io volevo farlo ministro, figuriamoci...».

Senato della Repubblica, interno giorno. In Aula le dichiarazioni di voto sulle comunicazioni del ministro degli Esteri Antonio Tajani relative a Gaza e alla Flotilla, ma le notizie arrivano qualche metro più in là, davanti alla buvette. Perché lì il leader di Italia viva ed ex presidente del Consiglio Matteo Renzi parla a ruota libera della riforma della giustizia, e del referendum che ne seguirà. D’altronde, il voto finale del Senato è ormai imminente (è previsto per l’ultima settimana di ottobre) eppure lui non ha ancora deciso cosa votare.

Da una parte c’è la sua base e le sue personali convinzioni, conosciute da sempre, che lo porterebbero a votare a favore, in modo da portare a termine la separazione delle carriere tra giudici e pm. Dall’altra parte però c’è il resto della riforma, in primis il sorteggio nei due futuri Csm, che non lo convince per nulla, e soprattutto c’è un’alleanza con Pd, M5S e Avs da portare avanti e per la quale un voto favorevole alla riforma del guardasigilli Carlo Nordio rappresenterebbe come minimo una brusca frenata.

Ma oltre a rivelare di non aver ancora deciso come votare, Renzi va oltre e si spinge a fare dei pronostici sul referendum che dovrebbe suggellare il divorzio giudici-pm e che si terrà in primavera. «Hai voglia a dire che non è un voto su di lei: se Meloni perde dovrebbe dimettersi», dice a una manciata di giornalisti mentre dagli schermi arriva a tratti la voce del capogruppo M5S Stefano Patuanelli che attacca Tajani e il governo sulla questione Flotilla.

«Anche io all’epoca del referendum 2016 ero convinto di vincere, e per questo ho commesso l’errore di politicizzare la campagna, ma anche se lei portasse avanti una strategia diversa, in caso di sconfitta non può che trarne le conseguenze». E oltre a ricordare il referendum costituzionale che mise fine alla sua esperienza di governo, l’ex inquilino di palazzo Chigi fa un altro paragone, e cioè il quesito sulla Brexit. «L’allora premier David Cameron fino al giorno prima disse che anche in caso di sconfitta non si sarebbe dimesso, poi ha perso e si è dimesso perché non poteva far altro», ragiona Renzi.

E poi? Poi potrebbe scegliere di chiedere al presidente della Repubblica di andare al voto anticipato oppure proseguire con un’altra guida a palazzo Chigi, come accadde nel 2016 con Gentiloni. «In quel caso però il mio Pd perse un sacco di voti - ricorda il leader di Iv - siamo sicuri che le converrebbe?». Ma al di là della fantapolitica, Renzi si concentra poi sulla campagna in sé, dicendosi d’accordo con chi gli fa notare che, vista la complessità della materia, finirà per essere un voto pro o contro il governo. «Dipenderà molto da come la maggioranza deciderà di impostare la propria strategia comunicativa - sottolinea - certo è che per loro meno gente vota e meglio è, più si rimane sul merito della riforma e meglio è».

Dall’altra parte, come noto, ci sono il Pd, il M5S, Avs e l’Anm, con ex e pm come Nicola Gratteri in prima linea. «Gratteri è l’unico capace di sfondare lo schermo, io lo volevo fare ministro quindi figuriamoci... - dice ricordando quando nel 2014 l’avrebbe voluto nella squadra di governo - ma attenzione perché dovranno essere bravi a respingere l’idea di casta che ormai è prevalente nel Paese non solo nei confronti della politica ma anche verso una parte consistente di magistratura».

E infatti alla Leopolda, la kermesse renziana che parte oggi e durerà per tutto il weekend, è previsto sì un panel sulla giustizia, con un confronto sulla separazione delle carriere tra Gian Domenico Caiazza ed Ernesto Carbone, ma anche un approfondimento su quello che viene definito «il caso più assurdo degli ultimi anni», cioè Garlasco. Un momento in cui, possiamo scommetterci, i magistrati coinvolti nella vicenda non saranno trattati con i guanti bianchi.

Poi Renzi se ne va, deve scappare a Firenze proprio in vista della Leopolda. Non prima però di vedere i riformisti dem votare a favore della risoluzione di Iv in contrasto con l’astensione proposta dal partito. Sono Guerini, Quartapelle, Madia e Merola alla Camera; Delrio, Sensi e Verini al Senato, più Casini da indipendente. Il leader di Iv gongola e saluta.