Matteo Salvini si affanna a dire - non senza qualche ragione - che la Lega ha sostanzialmente tenuto alle ultime Europee. Di fronte alla volatilità elettorale che ha colpito molti partiti nell'ultimo quindicennio nel nostro paese ( basti vedere gli esempi del M5s, di Renzi e dello stesso leader del Carroccio) non c'è dubbio che per via Bellerio le cose sarebbero potute andare anche peggio. Il fatto, però, è che dentro al partito del vicepremier sta succedendo ciò che non sta succedendo altrove, e cioè l'emergere sempre più conclamato di rancori o dissapori tra alcuni dei suoi esponenti, con vista sul congresso che dovrebbe svolgersi il prossimo ottobre. L'aspetto che concorre a drammatizzare il tutto è che la faglia che si sta producendo in seno alla Lega passa attraverso la figura del fondatore Umberto Bossi, il cui endorsement per Forza Italia non ha mancato di riversare nel dibattito interno una robusta dose di tossine.

L'intenzione del leader è chiara: tentare una normalizzazione del partito nel lasso di tempo che lo separa dalla consultazione degli iscritti, mettendo definitivamente la barra sulla linea nazionale e sovranista incarnata dall'homo novus Roberto Vannacci.

In quest'ottica, la mossa provocatoria di Bossi avrebbe dovuto facilitare le intenzioni di Salvini, poiché effettivamente non sarebbe bizzarro un procedimento disciplinare o almeno un deferimento per un iscritto di un partito che invita a votarne un altro. Sono però alcune reazioni provenienti da altri esponenti autorevoli del Carroccio a far capire che la posta in gioco è più alta della semplice ed eventuale estromissione del Senatur. A sparigliare è stato il governatore della Lombardia Attilio Fontana, che ha tenuto a far sapere a chi di dovere in favore di telecamera e con toni perentori, che Bossi non si tocca. Anzi, che «Bossi è assolutamente il fondatore, colui che ha sempre consentito a tutti noi di svolgere attività.

È una cosa sulla quale neanche si può fare nessun accenno». Parole che arrivano dopo quelle del segretario, il quale sembra invece intenzionato ad andare fino in fondo, prima consultando i militanti, quindi percorrendo la strada indicata dallo statuto. Il vicepremier ha definito l'iniziativa del Senatur «una mancanza di rispetto nei confronti di tutti i militanti e i sostenitori della Lega». «Ai suoi tempi», ha aggiunto, «si veniva espulsi per molto meno, ascolterò e valuterò».

Ecco che allora il caso Bossi diventa per Salvini una sorta di crivello per cominciare a isolare i dissidenti sulla sua leadership: il fatto che la difesa a spada tratta del fondatore della Lega Nord sia arrivata da un governatore, non può che amplificare i timori dell'attuale segretario rispetto alla fronda del cosiddetto partito degli amministratori locali, che gli addetti ai lavori vogliono raccolto attorno a Luca Zaia e Massimiliano Fedriga.

In questo clima da resa dei conti, non tardano a compattarsi attorno al leader i suoi fedelissimi, come ad esempio Susanna Ceccardi, per la quale Bossi «ha dimostrato di non tenere alla Lega», oppure il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alessandro Morelli, che ha parlato di «un figlio tradito dal padre», usando un'immagine a cui il giorno prima aveva fatto appello Vannacci.

Un'espulsione, probabilmente, ci sarà, ed è quella dell'ex- parlamentare Paolo Grimoldi, da tempo in polemica feroce col gruppo dirigente del partito e promotore di una corrente che si richiama a Bossi e alla linea federalista. A questo proposito, sarà di capitale importanza capire cosa succederà a Montecitorio, dove ieri è ripreso in aula il ddl Calderoli sull'Autonomia differenziata, che dovrebbe ottenere entro la prossima settimana il via libera definitivo.

Il sorpasso di Forza Italia, che al Sud ha avuto percentuali molto alte, associato alle perplessità dichiarate in merito da una parte degli azzurri capitanati dal governatore calabrese Roberto Occhiuto e alla ritrovata spinta del Pd, potrebbe portare a “contrattempi” imprevisti proprio all'ultimo miglio.

Da parte sua, Salvini ha però la possibilità di puntellare la propria posizione grazie al vertice Id che si svolge da oggi a Bruxelles, con la presenza della leader di Rassemblement National Marine Le Pen, reduce da un successo straordinario alle Europee che potrebbe portare il suo partito alla guida del governo tra meno di un mese. Molto della linea che adotterà Id nella fase delle trattative per la presidenza e i commissari Ue dipenderanno dal risultato delle elezioni transalpine, quel che è certo è che un eventuale accordo di Giorgia Meloni sul nome di Ursula von der Leyen, aprirebbe al leader leghista un discreto spazio di manovra a destra da spendere anche in Italia per recuperare almeno in parte il terreno perso in questi ultimi anni, a livello elettorale.