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MATTEO SALVINI MINISTRO DEI TRASPORTI
Il caso Almasri continua a generare onde lunghe. Interpellato sull’ipotesi di estendere l’immunità parlamentare anche a Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Carlo Nordio, Matteo Salvini ha scelto di partire da un principio personale: «Mai penserei di lasciare da soli i miei funzionari qualora qualcuno avesse un problema. Quello che decido io, lo decidiamo insieme». Un messaggio di lealtà interna, che il leader della Lega ha voluto ribadire più volte, infilando nel discorso l’elenco delle grandi opere che porta avanti «in totale accordo» con la propria squadra: dal ponte sullo Stretto alle Olimpiadi Milano-Cortina, fino alla Tav e alle metropolitane di Roma e Milano.
Ma al di là della solidarietà a Bartolozzi, il passaggio più rilevante arriva quando Salvini cita la Fondazione Einaudi, che sta raccogliendo firme per ripristinare le tutele per gli eletti «come era previsto dai padri costituenti». In altre parole: tornare all’immunità parlamentare nella sua versione originaria, quella ridimensionata nel 1993 dopo Tangentopoli.
Fu allora che, sull’onda delle inchieste di Mani Pulite, il Parlamento approvò una modifica dell’articolo 68 della Costituzione, abolendo la necessità dell’autorizzazione a procedere per indagare sui parlamentari. Una scelta votata anche grazie alla pressione dell’opinione pubblica, stanca di vedere inchieste arenarsi dietro lo scudo dei Palazzi. La Lega di Umberto Bossi era in prima linea in quella battaglia: giustizialista fino al midollo, e in Aula sventolava un cappio come simbolo della guerra alla “casta” e ai suoi privilegi.
Oggi, il capo dello stesso partito definisce «interessante» il dibattito su un ritorno alle origini, senza però sbilanciarsi del tutto: «Non ho abbastanza informazioni», premette. Ma la citazione non è casuale: in un’estate segnata dallo scontro tra politica e magistratura, il tema dell’immunità torna ad affacciarsi sul tavolo della maggioranza, e il leader leghista sembra pronto a cavalcare la discussione.
Dal lato giuridico, il costituzionalista Gaetano Azzariti ricorda che, in teoria, la Camera potrebbe estendere il diniego di procedere anche a chi non fa parte del Parlamento o del governo, se coinvolto negli stessi reati contestati ai titolari di dicastero. Un’operazione possibile, ma politicamente «non neutra» e forse persino incostituzionale se portata davanti alla Consulta. Nessun precedente «confrontabile», avverte Azzariti, e il rischio di forzare i limiti fissati dalla Carta è concreto.
Il combinato disposto è chiaro: una questione tecnica che diventa rapidamente politica. Salvini, nel rivendicare la difesa della propria squadra, finisce per rimettere in circolo un’idea che trent’anni fa avrebbe suscitato il fuoco di fila della sua stessa base. Allora il cappio era un monito per chi si rifugiava dietro l’immunità; oggi il dibattito è su come ripristinarla integralmente. E se il leader della Lega non ha ancora preso una posizione ufficiale, il solo fatto di legittimare la proposta della Fondazione Einaudi segna un cambio di passo evidente. Un segnale che, in tempi di frizioni crescenti tra toghe e politica, può trasformarsi rapidamente da riflessione accademica a bandiera di partito.