PHOTO
IL CAMPO LARGO DEL CENTROSINISTRA
Il copione è fisso: un cliché. Chi vince la racconta come svolta epocale, per quanto limitato possa essere il test di turno. Chi perde minimizza, pur se si tratta di sconfitte cocenti. Le reazioni alle comunali di domenica e lunedì scorso non sfuggono alla regola. È propaganda, per gli uni e per gli altri ma non priva di elementi reali, pur se indebitamente amplificati.
A destra raccontano che la sconfitta a Genova era prevista, che le cose nel capoluogo erano andate così già nelle Regionali, che in fondo il trend è uguale in tutta Europa: la destra stenta o perde nelle città, recupera con gli interessi nelle piccole città e nelle province. Nulla di sbagliato. In effetti alle regionali Orlando, il candidato sconfitto del centrosinistra, aveva raccolto a Genova più o meno gli stessi voti di Silvia Salis e che la destra sia in linea di massima più debole nelle città e nelle metropoli è indiscutibile. Resta il fatto che il capoluogo ligure, una delle principali città d'Italia, è stata per otto anni in mano al centrodestra e ora non lo è più. Resta il fatto che a Taranto la Lega, con un suo candidato condiviso dalle liste civiche, andrà al ballottaggio. Il grosso della destra, il candidato di FdI, Fi e Noi moderati, è fuori gioco.
Esagerare l'importanza di un test locale che, Genova a parte, non riguardava i principali centri del Paese sarebbe senza dubbio esagerato. Il voto di domenica però evidenzia per la destra un problema già riscontrato in numerose occasioni e rischia forte di crearne un altro di portata anche maggiore.
Il guaio noto ma qui ribadito è che la sinistra, all'opposto della controparte, è in grado di mettere continuamente in campo candidati dotati di capacità attrattiva sull'elettorato pescandoli anche dalla società civile. Sul campo questi nomi si rivelano a volte politici dotati, altre volte del tutto fuori posto. In entrambi i casi però fanno il loro lavoro come calamite di voti. La destra non ha alcuna capacità, o forse alcuna possibilità, di giocare la stessa carta. I suoi candidati sono per lo più scialbi o sconosciuti. Magari anche bravi ma privi di quel magnetismo che in una politica sconfinata ormai ampiamente nello spettacolo è essenziale.
Il voto di domenica, poi, ha galvanizzato il Pd per un motivo semplice ma essenziale: ha dimostrato che l'opposizione unita non solo può giocarsi la partita ma ha ottime probabilità di vincerla. Al di là della retorica altisonante, che pure ha una sua verità, e dei personalismi, che sono in effetti spesso la pietra al collo, la considerazione che spinge i partiti minori a rifiutare le alleanze riguarda la reazione del proprio elettorato: unendosi a una coalizione la rafforzano ma rischiano di indebolire le già pericolanti sorti della propria formazione.
Una parte degli elettori di Calenda, per esempio, vivrebbe come un tradimento un'alleanza con i 5S e viceversa. Di qui i gran rifiuti o i veti, che riguardano solo marginalmente il Pd in quanto partito maggiore del centrosinistra ma anche in quanto erede, sia pur ormai alla molto lontana, del Pci che dell'unità aveva sempre fatto la propria non disinteressata parola d'ordine.
La forza che spinge in direzione opposta, dunque verso le alleanze, è la prospettiva di vittoria. Nella politica di oggi, per motivi anche molto materiali, nessun partito può immaginare di vivere per sempre all'opposizione come appunto il Pci nella Prima Repubblica. La vittoria elettorale è alla fine questione di vita o di morte per partiti che devono accontentare la loro clientela, piazzare i propri funzionari, disporre delle leve del potere. Allearsi, rischiando così di scontentare una parte del proprio elettorato, per poi perdere comunque è naturalmente l'affare peggiore. Di conseguenza maggiori sono le prospettive di vittoria maggiori sono le chances di dar vita a una coalizione allargata. Il voto di queste comunali, che saranno bissate in formato macroscopico dalle Regionali d'autunno, spinge verso l'alleanza e questa non è l'ultima né la meno fondata fra le preoccupazioni della leader della destra.