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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro degli Esteri Antonio Tajani (sx) e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (dx) nell’ aula della Camera dei deputati durante la commemorazione di Papa Francesco, Roma, Mercoledì, 23 Aprile 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime minister Giorgia Meloni, Foreign minister Antonio Tajani (left) and Infrastructure minister Matteo Salvini (right) at the Chamber of deputies during the commemoration of Pope Francis, Rome, Wednesday Apr. 23, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
Nella a lungo attesa e a lungo rinviata informativa su Gaza, prima alla Camera, poi al Senato, il ministro degli Esteri Tajani usa le parole più dure mai adoperate dal governo italiano contro la guerra di Israele a Gaza e contro il governo Netanyahu, pur senza mai nominare Bibi: «La reazione di Israele al terribile e insensato atto terroristico del 7 ottobre sta assumendo forme assolutamente drammatiche e inaccettabili. I bombardamenti devono finire, l'assistenza umanitaria deve riprendere al più presto, il rispetto del diritto internazionale umanitario deve essere ripristinato, Hamas deve liberare gli ostaggi».
Tajani è esplicito anche sul progetto di espellere la popolazione palestinese dalla striscia: «Voglio ribadirlo con chiarezza: l’espulsione non è e non sarà mai una opzione accettabile». Dunque il rappresentante del governo conferma il sostegno al piano di mediazione arabo e annuncia la disponibilità italiana a una missione di pace sotto l’egida dell'Onu e a guida araba. Il ministro va giù molto duro anche contro «i rigurgiti di antisemitismo», si sofferma sul tema a lungo, va a un millimetro dall’accusare l’opposizione di fomentare l’antisemitismo e la reazione delle aule, soprattutto a Montecitorio, dai banchi della minoranza è rumorosa.
Ma non è questo che mette in difficoltà il governo italiano. È la scelta di non far seguire alle parole alcun atto concreto, neppure minimo e simbolico. No al richiamo dell’ambasciatore chiesto soprattutto da 5S e Avs: «Quale soluzione negoziata è mai stata raggiunta senza lasciare la porta aperta al dialogo?». Significa in concreto confermare il no alla proposta, votata dalla maggioranza dei Paesi Ue, di rivedere l’intesa commerciale con Israele, che non deve essere isolato. Dunque neppure si parla di bloccare gli accordi sulla compravendita di armi, in parte bloccati sull'esportazione ma intatti sull'import e che si rinnoveranno automaticamente l’8 giugno. Nemmeno preso in considerazione il riconoscimento dello Stato di Palestina, mossa puramente simbolica che però apparirebbe come un “premio” all’azione di Hamas.
Il problema è che, dopo aver pronunciato in forma ufficiale, a nome dell'intero governo, un giudizio tanto duro come quello espresso da Tajani oggi e prima ancora, a titolo più personale, dal ministro della Difesa Crosetto il rifiuto di esercitare alcuna pressione concreta su Netanyahu appare inspiegabile. Tanto più perché una posizione tanto chiusa a qualsiasi intervento è di fatto isolata in Europa. Tra i grandi Paesi solo la Germania e la Polonia hanno votato contro la richiesta di rivedere l’intesa commerciale, che mette in circolazione 45 miliardi di euro circa ogni anno.
Ma la Germania, e in parte anche la Polonia, hanno un problema esplicito nel colpire lo Stato ebraico con i precedenti della persecuzione razziale. Quel limite, date le leggi razziali del 1938, potrebbe coinvolgere anche l’Italia che però, a differenza della Germania, non ha mai reso quella posizione esplicita e in ogni caso la posizione assunta dal cancelliere Merz pochi giorni fa segna una sterzata senza precedenti nei rapporti tra Germania e Israele. La stessa cosa, nonostante la critica aperta mossa ieri dal ministro degli Esteri, non si può dire a proposito dell’Italia.
Su Gaza il governo di Giorgia Meloni, che inon era in Aula a differenza di moltissimi ministri Salvini incluso e di tutti i leader dell'opposizione, è isolato in Italia, in palese difficoltà ieri in Parlamento, e lo è anche in Europa. La contraddittorietà palese ed evidente tra le parole e le scelte pratiche appare tantochiara da autorizzare il sospetto, tutt’altro che solo sussurato nelle file dell’opposizione, che la premier stia aspettando le mosse dell’ambiguo amico americano per seguirlo. Trump, in effetti, appare oggi molto più distante da Netanyahu di quanto non fosse appena re-insediato alla Casa Bianca ma ancora su posizioni molto diverse da quelle europee.
È possibile che questo elemento influisca davvero sulla “timidezza” del capo del governo italiano ma ce ne sono anche altri. Motivi politici, come l’ipoteca della Lega, prima di tutto. Sulle posizioni assunte dal governo l’intera maggioranza è compatta, sia pur con qualche percettibile sfumatura più filoisraeliana della Lega. Passi concreti sarebbero meno condivisi. Motivi economici anche: il ministero della Difesa, nonostante Crosetto sia stato il primo e il più drastico nel prendere le distanze dal governo israeliano, ha già chiarito di non avere alcuna intenzione di rinunciare all’import da Israele per motivi di sicurezza.
Ma nel complesso una cosa si fa di giorno in giorno più evidente: in una fase nella quale politiche nazionali, europee e internazionali coincidono e il quadro mondiale fa premio su tutto, la crisi di Gaza può diventare per la premier italiana un guaio enorme. Su tutti i fronti.