Dentro la maggioranza di governo lo scontro tra Fratelli d’Italia e Lega si è fatto strutturale, e va ben oltre il caso – già esplosivo – della possibilità di ricandidarsi di un governatore o un sindaco in carica da due mandati.

Il braccio di ferro, come è noto, è deflagrato lunedì scorso nel Consiglio dei ministri, ma si trascina da mesi, talvolta sotto traccia, talvolta in modo conclamato: l’autonomia differenziata, la legge elettorale, le prossime Regionali. È un conflitto che agita il centrodestra su più fronti e in più territori. E che, nonostante i tentativi di minimizzazione, rischia di lasciare segni profondi e aprire scenari di rottura reale, politica.

A tenere banco è ancora la decisione del governo di impugnare la legge provinciale trentina che apre al terzo mandato.

Una mossa che ha spaccato il Cdm, con tutta la delegazione leghista a votare contro il provvedimento dell’esecutivo. «Secondo me è giusto che scelgano i cittadini», ha ribadito ieri il leader della Lega da Lamezia Terme. «Se si riapre la riflessione, ben venga», ha aggiunto, e la riflessione in effetti è già aperta, visto che lo stesso Massimiliano Fedriga, governatore leghista del Friuli Venezia Giulia e presidente della Conferenza delle Regioni, ha chiesto ufficialmente a nome dei presidenti un approfondimento sull’argomento, spiegando che «le sensibilità sono diverse, ma abbiamo votato assieme un documento».

Segnale non banale, perché arriva da uno dei nomi più solidi del Carroccio, ma anche tra i più dialoganti con Palazzo Chigi. E se lui manifesta irritazione e sottolinea la coesione dei governatori nel manifestare un certo malumore per il governo centrale, la questione diventa da non sottovalutare. Il suo collega veneto Luca Zaia parla di «impugnativa temeraria» da parte di Palazzo Chigi, aggiungendo di avere «dubbi che la Corte riesca a smentire se stessa». Per il presidente del Veneto, la sentenza sulla Campania è chiara: le Regioni a statuto speciale, come il Trentino, «possono definire il loro numero di mandati».

Non la pensa così il governo, che con Lollobrigida prova a derubricare tutto a questione tecnica. «C’è grandissima tranquillità, abbiamo solo chiesto un giudizio dell’Alta Corte», dice il ministro dell’Agricoltura. «Nessun problema politico». Ma serve uno sforzo per credergli: perché il contrasto non è solo giuridico, e in aula, come ricorda Enrico Borghi, di Italia Viva, si è consumato un corto circuito che in altri tempi avrebbe portato a una verifica di governo. E allora si prova a minimizzare:

il ministro Piantedosi parla di «posizioni differenti ma nessuna spaccatura». Il capogruppo FI Paolo Barelli garantisce che si troverà «una sintesi». E Gian Marco Centinaio, vice presidente leghista del Senato, invita a smetterla con i messaggi criptati: «Basta parlarsi, questa non è più solo una questione territoriale, è nazionale e riguarda tutti». Tanto più che la partita del terzo mandato è solo una delle schegge impazzite nella maggioranza.

Dopo la bocciatura sostanziale della Consulta, il progetto dell’autonomia differenziata, caro al ministro Roberto Calderoli e all'ala nordista della Lega, va riscritto quasi da capo. E anche qui le posizioni tra FdI e Lega sono lontane. Giorgia Meloni ha messo la sordina a una riforma che temeva di vedere trasformata in un boomerang elettorale, mentre Salvini continua a pretenderne l’attuazione come bandiera da rivendicare in Veneto e Lombardia. Sulla legge elettorale, occultamente, si sta consumando un altro strappo.

Da Palazzo Chigi è filtrata l’ipotesi di un ritorno al proporzionale con preferenze e premio di maggioranza, una proposta che ha fatto subito storcere il naso alla Lega, da sempre favorevole a una percentuale di maggioritario e ostile a ogni cambio di schema che possa riequilibrare il peso dei partiti in Parlamento. Infine, c'è la battaglia delle Regionali. La più delicata sarà quella in Veneto, dove se non passerà il terzo mandato, Zaia non potrà ricandidarsi. Ma la Lega non è disposta a cedere la Regione: pretende comunque un proprio nome alla guida della coalizione. Ecco perché ogni parola pesa e le parole di Fedriga sono state ben soppesate in ambienti meloniani, per un dossier che rischia di essere detonatore di una frattura.

Nel frattempo, Fratelli d’Italia prende tempo, predica calma e prova a nascondere il conflitto sotto il tappeto del “dibattito tecnico”, ben sapendo che sotto la linea di galleggiamento il centrodestra è preda di correnti vorticose e confronti ruvidi. Il rischio, ormai più che concreto, è che la battaglia per i mandati sia solo l’antipasto di una resa dei conti ben più ampia.