Giulio Seminara

«Ora l’inverno del nostro congresso è reso gloriosa estate da questo sole di Reggio Calabria». Ci scuserà Shakespeare ma la clamorosa candidatura di Marco Minniti a segretario nazionale Pd, se confermata, è il coup de thèâtre che scongela e infiamma un congresso finora piuttosto freddo, scompaginando i piani di chi voleva Nicola Zingaretti vincitore annunciato, Matteo Renzi fuorigioco e i renziani irrilevanti in ordine sparso.

Infatti l’appello a sostegno dell’ex ministro, con tanto di invocazione di «congresso unitario», da parte di importanti sindaci dem come Gori, Nardella e Decaro ( ma senza il sindaco di Milano Sala), tiene in sé le cinquanta e passa sfumature di renzismo e ufficializza il rassemblement di un mondo, quello vicino all’ex premier toscano, che vuole restare egemone e vincere il congresso.

Pur affidandosi per la prima volta in una competizione nazionale a un uomo diverso dallo stesso Renzi, stavolta nell’inedito ma non indifferente ruolo di regista.

Perché Minniti? Già prima un affermato “renziologo” guardando il Pantheon sospirava “res ad Triarios rediit”, ovvero: “Al momento decisivo della battaglia bisogna mandare i veterani”.

Perché soltanto loro possono compattare le truppe e sfidare Zingaretti. Quindi uno tra i due ex ministri dello stesso governo e gemelli opposti: Graziano Delrio da Reggio Emilia e Marco Minniti da Reggio Calabria, chi solidarizzava con le navi Ong nel Mediterraneo e chi le aveva vincolate a un codice di condotta, il primo ha detto no, il secondo invece dirà si.

D’altronde a Roma le voci leopoldine sussurravano la stessa strategia «il nostro candidato abbinerà esperienza a carisma».

Poi le stoccate a Zingaretti: «La sua campagna è tutta contro Matteo, ignorando l’appello di Martina e la richiesta di unità della nostra gente in piazza», «come può escludere l’accordo con i grillini se lo aiutano in regione Lazio?». E gli altri competitors? «Candidature non solide, gente che ha cambiato mille posizioni». Pure Richetti?

«L’hanno mollato tanti suoi storici, infatti come coordinatore nazionale di mozione si è dovuto scegliere un consigliere comunale di Napoli».

Ma non tutti gli alleati di Renzi sono d’accordo, e Matteo Orfini, già molto critico in passato con Minniti sul tema immigrazione, è pronto a lanciare un’altra candidatura per poi pesarsi in Assemblea Nazionale. Un deputato racconta: «E’ Orfini contro Minniti e non viceversa, credo si possa trovare la quadra, magari con una loro donna nel ticket. Anche perché lui non tiene tutti i suoi in una sfida solitaria».

Dalla “Turchia” una voce: «Il nostro candidato sarà fuori dagli schemi, forse una donna». Le indiziate sono la governatrice dell’Umbria Catiuscia Marini e la giovane deputata Chiara Gribaudo, entrambe dotate del Pink Factor, in assenza di candidate donne alla leadership.

A proposito di Umbria e donne non è da escludere che Minniti si presenti in ticket con la rampante e renzianissima Anna Ascani. E i padri nobili Veltroni e Gentiloni?

«Non sono più tanto sicuro staranno entrambi con Zingaretti» ipotizza qualcuno. E gli ex compagni Bersani e D’Alema? «Con Minniti escludiamo un loro ritorno». E il rifiutante Delrio sosterrà quel Minniti con cui ha polemizzato sulle Ong? «Certamente».

Tanta sicurezza, appunto. Ma manca ancora la data ufficiale della sfida e si sussurra «Martina dovrebbe chiedersi cosa significhi questa richiesta di congresso unitario contenuta nell’appello, una richiesta di posticipo?». Sarebbe un peccato, proprio ora che il congresso è diventato vero e frizzante. Intanto il protagonista, Marco “il freddo” Minniti, il rosso che ha sdoganato la sicurezza a sinistra, sta in silenzio. Chissà se da candidato aprirà finalmente un profilo Facebook o Twitter, dato che finora è l’unico big fuori dai social. Ricorda un po’ il suo idolo giovanile Marlon Brando che in Apocalypse Now compare solo nel finale. Prendendosi la scena e lasciando il segno.