Appena sbarcata a Washington, un paio di giorni fa, e interrogata sulle sospette simpatie putiniane dei Patrioti per l’Europa, il nuovo gruppone europeo di Orbàn, Le Pen e Salvini, Giorgia Meloni se l’è cavata con una classica dichiarazione della serie «Non confermo e non smentisco». «Mi pare una ricostruzione da osservatori», ha detto senza specificare se gli osservatori avessero ragione o torto. La reticenza si spiega facilmente. In questo momento né il gruppo europeo di Giorgia, i Conservatori, né i competitor di Orbàn intendono dichiararsi guerra. Sanno che il confronto, e anche lo scontro, è in una certa misura inevitabile ma sanno anche che spesso dovranno e vorranno convergere ritrovandosi sulle medesime posizioni. Dunque tutti, anche la premier italiana, cercando di nascondere una tensione che è invece palese e palpabile.

Però Giorgia non ha nemmeno interesse a difendere i cugini più radicali smentendo il presunto posizionamento dalle parti del Cremlino. Quel posizionamento, anzi, è oggi la sola carta vincente che possa giocare in Europa per uscire dal vicolo cieco nel quale è stata spinta un po’ da tutti e approfitta delle celebrazioni dell’anniversario Nato a Washington per calarla sul tavolo. Nel Parlamento europeo ci sono oggi due gruppi che non nascondono il dissenso totale sugli aiuti a Kiev. Uno, appunto i patrioti, è il terzo gruppo più importante a Strasburgo. L’altro, Europa delle nazioni sovrane, si sta formando in questi giorni. Non sarà folto come i due già esistenti: in compenso conta al proprio interno AfD, partito considerato impresentabile persino dai Patrioti ma pur sempre il secondo partito in Germania e non si tratta di un particolare trascurabile.

Sul fianco sinistro le cose non stanno messe meglio. In Francia le posizioni di France Insoumise non sono diverse da quelle della destra sovranista. In Italia due partiti su tre del Campo Largo di fatto ormai nato, M5S e Avs, sono contrari a insistere nel sostegno armato all’Ucraina. La segretaria del Pd si tiene in equilibrio con una certa maestria, ma è chiaro

che tra il predecessore e falco atlantista Enrico Letta ed Schlein c’è comunque un bel salto. Sia nella destra europea che all'interno dell’ “anello debole” italiano il ruolo di Giorgia Meloni resta per l’Europa atlantista prezioso e forse indispensabile. Giova ricordare che non si tratta di un fronte tra i tanti: oggi in Europa nulla è più importante della guerra e nulla desta più allarme del dissenso sulla guerra. La tentazione estrema di togliere all’Ungheria di Orbàn la presidenza di turno dell’Unione in seguito alla “missione non autorizzata” del leader ungherese a Mosca e Pechino è da questo punto di vista eloquente.

La premier italiana, che ha già giocato con successo più volte la carta atlantista, sa perfettamente di dover battere ancora su quel tasto. Promette di innalzare le spese militari, pur sottolineando che si arriverà al 2% richiesto dall’Alleanza «compatibilmente con la situazione», cioè senza correre. Si impegna a fornire un ulteriore sistema Samp T a Kiev. La Lega strepita. Difende Orbàn. Tutti, da Salvini a Vannacci, da Crippa a Romeo fanno la gara a chi strilla più forte contro l’invio delle armi. In parte il rumoroso dissenso irrita la premier, la guerriglia leghista essendo troppo salita di tono nelle ultime settimane. Ma in parte, probabilmente, le fa anche se non piacere almeno comodo: conferma che l’argine al putinismo è lei e solo lei.

È probabile che nella trattativa in corso a Bruxelles l’atout atlantista funzioni ancora una volta. Ieri la candidata von der Leyen ha assicurato alla delegazione dei Liberali che non ci saranno «accordi strutturali» con i Conservatori. I quali tuttavia non chiedono affatto un accordo strutturale che anzi metterebbe la presidente del gruppo, cioè Meloni, in difficoltà non sormontabili.

L’importante è un mercanteggiamento su posti e deleghe che consenta a Meloni di votare per Ursula e di mantenere solido il legame con la destra del Ppe senza perdere la faccia a destra. Non è detto che ci riesca ma è probabile, proprio in virtù della magia atlantista. Ma quella magia continuerà a funzionare solo se Washington resterà ferma sulla strategia seguita sin qui da Biden. Se le cose dovessero cambiare la prima a ritrovarsi disarmata, in Europa, sarebbe proprio Meloni.