Almeno da un punto di vista ci sono davvero punti di contatto tra il governo che Giorgia Meloni sta già cercando di formare e un governo tecnico. Per abitudine, tradizione e anche un bel po' per la forza delle cose, i governi politici devono sempre, in misura più o meno esorbitante, mettere mano al Cencelli. È palesemente così quando si tratta di governi di coalizione ma lo sarebbe anche nel caso di un governo monopartitico: solo che in quel caso il famigerato ed eterno manuale si applicherebbe alle correnti di quel partito.

I governi tecnici non hanno di queste preoccupazioni. Sulla carta in questi casi il presidente del Consiglio ha pieno agio di scegliersi la squadra sulla base di quelle che lui ritiene essere le capacità migliori, fatto salvo il vaglio finale del capo dello Stato. Non che in Italia di governi tecnici ce ne siano stati poi molti. Il solo esecutivo compiutamente tecnico è stato quello Monti nel 2011. Per il resto sia il governo Ciampi del 1993 che quello Draghi hanno dovuto mediare con i partiti che, nel secondo caso, hanno avuto piena voce in capitolo per alcuni ministeri anche se il premier si è riservato il diritto di indicare da solo i ministri principali ai fini dell'attuazione del suo programma.

Governo politico, logica da governo tecnico

 

Quello di Giorgia Meloni è un governo politico e lo resterebbe anche se i ministri fossero tutti tecnici, perché politica è la donna che lo guiderà e nettamente politica è la maggioranza che lo sosterrà. I valzer delle poltrone, i giochi al rialzo, i mercanteggiamenti sono pertanto nell'ordine delle cose e fare finta di scandalizzarsene è pura ipocrisia.

L'anomalia, casomai, sta nel fatto che Giorgia stia cercando di distribuire gli incarichi, anche quelli ispirati dal Manuale, con una logica da governo tecnico che in Italia praticamente nessun governo politico ha mai adoperato: cercando cioè, anche quando si tratta di ministeri assegnati agli alleati, di condizionare la scelta del ministro sulla base dell'efficienza o almeno della presunta efficienza.

Nella stessa chiave vanno letti i rapporti con Draghi e in realtà con la squadra di Draghi. Il premier si è molto risentito per le parole della futura Incaricata sul Pnrr ma si è trattato quasi di un equivoco. Come tutti hanno rilevato, a partire dal Sole 24 Ore in quella disputa avevano ragione entrambi: il premier uscente nel rivendicare l'aver raggiunto tutti gli obiettivi previsti, quella entrante nell'essere preoccupata per le fasi successive, ostacolate sia dalla nota incapacità italiana di spendere i fondi a disposizione, sia e soprattutto dalle conseguenze sulle gare del rincaro delle materie prime.

Nessuna collisione con Draghi

 

In realtà Giorgia Meloni non ha alcuna voglia di entrare in collisione con Draghi e non solo perché dei suoi buoni uffici nel mondo ha e ancor più avrà un futuro bisogno come dell'ossigeno. Questa considerazione ovviamente pesa ma pesa altrettanto la convinzione che per resistere alla tempesta e uscirne vincente un governo di destra debba saper coniugare l'orizzonte politico con il metodo pragmatico che Giorgia vuole ereditare da Draghi.

È significativo che volesse confermare Cingolani alla Transizione e anche dopo il suo rifiuto miri a coinvolgerlo quanto più possibile, per non parlare di una rosa per l'Economia che è quanto di più distante da una rottura col passato in tutti i suoi petali. Ma lo è ancor di più l'intenzione di affidare a un tecnico la Sanità, sbarrando la strada alla forzista che dovrebbe essere designata a norma di Cencelli, Licia Ronzulli.

Tecnici sì, apolitici no

 

Il tentativo della leader di FdI, che non è affatto detto sia destinato al successo, è insomma quello di mettere in piedi un governo politico ma almeno in parte facendo propri i criteri dei governi tecnici. In un progetto del genere sarebbe probabile la scelta, ove possibile, di tecnici estranei alla politica professionale ma non apolitici e anzi d'area, come per esempio sarebbe la nomina di Guido Rasi alla Sanità.

Come sterzata, rispetto alla tradizione italiana, non è affatto un particolare secondario e indica la consapevolezza, da parte della futura premier, di aver vinto una mano importante ma di avere di fronte a sé ancora tutta la partita in cui una delle poste in gioco sarà il futuro suo e del suo partito.