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IGNAZIO LA RUSSA PRESIDENTE SENATO
Ci sono tutti gli indizi per credere che Ignazio La Russa abbia davvero a cuore una legge sul fine vita. È stato il presidente del Senato a calendarizzare la discussione in Aula a Palazzo Madama, dove il testo della maggioranza dovrebbe arrivare il 17 luglio. Ed è stato ancora lui a spendersi perché i lavori procedano spediti per quella data, o almeno «entro la fine della legislatura», dice la seconda carica dello Stato in un’intervista rilasciata alla Stampa. «Da presidente del Senato ho molto lavorato perché si favorisse questa discussione. Ci sono dei temi, come le carceri e il fine vita su cui occorre un confronto sereno, sganciato dalla polemica politica e su cui mi piacerebbe un voto unitario», spiega La Russa. Le cui parole hanno l’obiettivo di rilanciare un tema su cui c’è sempre da aspettarsi lo stallo.
Dove sta la sorpresa, dunque? Non deve stupire che sia un autorevole esponente di Fratelli d’Italia ad aprire su una questione su cui la destra si è sempre dimostrata chiusa: sul fine vita c’è libertà di coscienza, ed è stato un governatore leghista, Luca Zaia, il primo a chiedere regole certe sul suicidio assistito. Il fatto è che il fronte del no, dentro la maggioranza, si trova dalle parti di Fratelli d’Italia. Soprattutto per ciò che riguarda il ruolo del Servizio sanitario nazionale nei percorsi di fine vita. Nel partito della premier c’è chi vorrebbe escluderlo del tutto: perché il Ssn deve occuparsi soltanto delle cure palliative, sarebbe il ragionamento. Ma sarà un po’ complicato riuscire a metterlo nero su bianco. Innanzi tutto, perché nella maggioranza non c’è “convergenza” sul punto, e poi perché sarebbe un po’ miope “eludere” le indicazioni della Corte Costituzionale, che cita il Servizio sanitario in tutte le sue sentenze.
Il nodo resta. E su questo La Russa non si sbilancia: «Questi sono veramente argomenti su cui deve decidere liberamente il Parlamento – dice alla Stampa -. Quello che a me interessava è che questo tema andasse all’attenzione del Parlamento. Per quel che mi riguarda conta il principio: garantire la possibilità di scelta a chi è nella condizione terminale e senza speranza. Bisogna trovare dei limiti, evitare abusi e fughe in avanti, ma questa scelta, non “il suicidio”, è un’altra cosa».
Tutto torna: anche il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, ribadisce che «non esiste il diritto al suicidio». Ma una legge bisognerà farla, restando nel perimetro tracciato dalla Consulta con la sentenza 242 del 2019 sul caso Cappato/Dj Fabo. È la linea degli azzurri, la stessa emersa dopo il vertice di maggioranza che si è tenuto martedì scorso a Palazzo Chigi. La Lega resta prudente: bisogna fare «con calma», dice laconico Matteo Salvini. Anche se prima o poi anche il Carroccio dovrà uscire allo scoperto sul tema. Al momento non resta che leggere tra le righe, tornare ancora a La Russa, e a un passaggio della sua intervista che sembra particolarmente importante: «Se qualcuno pensava di buttare la palla lontano, Giorgia Meloni ha detto che bisogna lavorare per una giusta legge così come richiesto dalla Corte Costituzionale. Giorgia non è una che fa finta di decidere per non decidere. È stato molto importante il vertice di centrodestra in cui si è deciso il via libera, molto più importante di ciò che è stato scritto». Tradotto: chi frena, nel centrodestra, dovrà mollare. Perché la decisione è presa. E si andrà in Aula come previsto, con un testo unitario, assicura Tajani.
Ora, il più, è scrivere il testo. Che sembra ancora in alto mare. I relatori al Senato sono Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia. Il primo pensa a un testo «asciutto» e ha promosso l’ultima ipotesi emersa sul tavolo: l’idea di un comitato etico nazionale, nominato tramite un Dpcm, che coordini ed esamini tutte le richieste. Il secondo porta nella discussione anche la sua personale visione: non può essere un medico che ha giurato di tutelare la vita - dice Zullo (medico egli stesso) - a prestare il suo aiuto alla morte volontaria.
La sintesi bisognerà trovarla nel Comitato ristretto delle commissioni Affari sociali e Giustizia a Palazzo Madama, che dovrebbe riunirsi di nuovo martedì prossimo. Ma per aspettarsi la svolta in quella data bisogna essere ottimisti, dopo oltre cinque mesi di fumate nere. L’unica bozza che si sia vista risale allo scorso marzo e prevede due articoli: il primo sancisce che il diritto alla vita è inviolabile e indisponibile, il secondo prevede un percorso di cure palliative obbligatorio come requisito di accesso al suicidio assistito. Il testo potrebbe ripartire da qui, o dovremo aspettarci un colpo di scena.
Intanto, le opposizioni si preparano alla battaglia: dopo aver lamentato continui rinvii e riunioni basate sul nulla, il sospetto che il centrodestra prenda tempo per affossare ogni tentativo di legge è superato da un timore più grande. Ovvero che il Parlamento venga «espropriato» con un testo blindato calato sul tavolo dal governo, dice il dem Alfredo Bazoli, come è già capitato con la separazione delle carriere e il decreto sicurezza.