L’applauso più fragoroso della maggioranza, al senato, non scroscia quando la premier, nella abituale informativa alla vigilia del Consiglio europeo di domani, parla della tregua a Gaza e neppure quando, subito dopo, passa al conflitto in Ucraina. I senatori della destra si spellano le mani quando la premier si scaglia contro il Green Deal ed è comprensibile perché il senso del discorso di ieri in Parlamento era restituito da quel passaggio molto più che da quelli, in realtà privi di vere novità, sulle due guerre in corso.

La premier, parlando della tregua, coglie l’occasione per coprire di elogi l’amico Trump, per le «straordinarie energie» che ha dedicato alla ricerca del cessate il fuoco, per l’ «indiscutibile successo» che ha ottenuto. Giorgia ci tiene a rivendicare la quantità di aiuti, superiore a quella di ogni altro Paese europeo, che dall’Italia sono arrivati a Gaza, quelli che «per interesse» c’è chi «finge di non vedere o addirittura si cerca di negare». Quella è la «solidarietà vera e silenziosa», non la propaganda facile.

Quella della premier è certo una stilettata contro l’opposizione ma fra le righe trapela anche la preoccupazione: l’opinione pubblica su quel fronte è compatta e più vicina alla linea del centrosinistra che a quella della maggioranza. Giorgia cerca di recuperare contrapponendo alle manifestazioni rumorose ma prive di utilità sponsorizzate dai rivali il racconto di una solidarietà discreta ma operosa da parte del governo.

Per lo stesso motivo torna, senza aggiungere nulla a quanto già detto, sul riconoscimento dello Stato di Palestina. L’Italia è pronta, il governo, anzi, sembra quasi che frema dalla voglia di procedere. Ma ci sono delle precondizioni: la rinuncia da parte di Hamas a svolgere qualsiasi ruolo sia oggi che domani nel governo della Striscia e il suo disarmo: «Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste precondizioni saranno realizzate». Se il riconoscimento reclamato dalle opposizioni non è ancora arrivato, la colpa è solo di Hamas.

A Gaza l’Italia è disponibile a ogni sorta di presenza, inclusa quella militare se sarà richiesta e naturalmente previa decisione del Parlamento. In Ucraina no. Il trasporto filoucraino è quello di sempre. La linea europea, «pace giusta e non frutto della sopraffazione», è ferma. L’esigenza di «aumentare la pressione sulla Russia» con nuove sanzioni impugnata e sbandierata. Ma tutto con misura, e anzi con molta misura. Niente truppe, in nessun caso: «Ciascuna nazione contribuirà nella misura che riterrà necessaria. L’Italia ha già chiarito che non manderà soldati». Per la Lega, si sa, quel passaggio non è importante, è dirimente. Ma anche sulle sanzioni Giorgia non si allarga: «Riteniamo, e non siamo i soli, che sia necessario rispettare il diritto internazionale, tutelare la stabilità finanziaria e monetaria delle nostre economie e dell’area euro, garantire la sostenibilità di ogni passo intrapreso». Sanzioni sì ma solo finché non ledono l’interesse dell’Italia. O della Francia che su questo punto, a differenza della Germania, la pensa come la pensano a Roma.

Solo quando si arriva al capitolo delle politiche ambientali, altro argomento in agenda a Bruxelles, la premier sfodera gli artigli e attacca con un’aggressività mai vista prima. La critica al Green Deal è quella di sempre ma stavolta portata alle estreme conseguenze: «Lo dico chiaramente: l’Italia non potrà sostenere la proposta di revisione della legge Clima così come formulata». Se non fosse abbastanza chiaro, dopo aver illustrato con una puntigliosità inusuale nelle informative di questo tipo tutte le modifiche radicali che l’Italia pretende sul clima, la premier ribadisce e rincara: se non si abbandona del tutto «un approccio ideologico e quindi irragionevole che impone obiettivi insostenibili e irraggiungibili che danneggiano il tessuto industriale», il governo italiano non potrà «sostenere nuove iniziative distruttive e controproducenti per inseguire gli interessi di bizzarre maggioranze parlamentari in Europa».

Meloni martella, insiste sulle innumerevoli modifiche necessarie per superare definitivamente l'odiato Green Deal. Serve un «intervento coraggioso per correggere un ampio numero di scelte azzardate» e la presidente von der Leyen, si compiace Giorgia, dà segno di volersi muovere in questa direzione. Anche maggiore la soddisfazione sul fronte dell’immigrazione perché, dopo tre anni di governo della destra, «l’approccio italiano sul tema delle migrazioni è diventato maggioritario in Europa».

L’affondo sul clima, sulle migrazioni e in realtà anche sulle condizioni necessarie per rafforzare una difesa europea nella quale «la decisionalità» spetti comunque agli Stati nazionali, non sono casuali. Delineano una strategia qui inaugurata ufficialmente: l’arrembaggio finale all’impostazione sulla quale si è mossa sin qui la Ue e che la leader della destra italiana ritiene possa essere finalmente espugnata. Complice la debolezza in cui si trovano sia la Ue che i principali governi dei Paesi che la compongono. A braccetto con un Ppe che condivide in pieno, anche più di quanto non ammetta, la sua visione.