Chi conosce bene Michele Emiliano, ai piani alti del Nazareno, è pronto a giurare che le parole dette sul palco della manifestazione barese che doveva essere di solidarietà al sindaco Decaro, ma che si è rivelata un clamoroso boomerang, siano state un incidente. Il problema, però, è che alla base di quella che si sta cercando di derubricare a gaffe ( e che verosimilmente lo è), c’è una questione concreta che si pone ormai da tempo circa la gestibilità politica del governatore pugliese. Perché le frasi dal sen fuggite di Emiliano - si constata amaramente in casa dem - sono l’ennesima spia di una personalità esuberante che non mancherà di creare altri imbarazzi nelle settimane o nei mesi avvenire, su fronti caldi come le Comunali nel capoluogo pugliese, le Europee e, in ultima analisi le stesse Regionali.

Di fronte a una piazza piena come in tempi recenti non c’era mai stata a Bari, Emiliano non ha resistito alla tentazione di marcare il territorio, di comunicare alla popolazione che a monte della popolarità di Decaro c’è stata una sua benedizione, una sua intuizione.

Insomma, “l’ho scoperto io”, per dirla con Pippo Baudo ai tempi di Sanremo e di Fantastico. Solo che per l’ansia di rimarcare il proprio peso politico, al governatore - per così dire - è scappata la frizione, tanto da ritrarsi, ai tempi in cui era primo cittadino, così forte da intimare ai familiari di un boss di lasciare in pace un suo collaboratore. A poco sono servite le messe a punto del diretto interessato, che ha parlato di una boutade, e le parziali rettifiche: il caso politico non ha potuto che montare e un centrodestra obiettivamente in difficoltà nel sostenere di non aver fatto pressione su Piantedosi, si è ritrovato tra i piedi un assist insperato dal fuoco amico di Emiliano su Decaro.

Fatta la frittata, l’urgenza dentro il Pd è ora quella di smorzare il caso, supportando la tesi della voce dal sen fuggita, ma anche spostando l’attenzione su altro. E se da una parte il capogruppo al Senato dem nonché protagonista della politica pugliese Francesco Boccia ha parlato di un’ «iperbole» usata da Emiliano, la strategia è quella di puntare sui casi politici attualmente in ballo sul fronte del centrodestra. Tra oggi e domani dovrebbe essere votata la mozione di sfiducia contro Matteo Salvini, ma su questo terreno Elly Schlein non può calcare la mano più di tanto, perché il documento è stato presentato da Azione e le posizioni di politica estera che si contestano al leader leghista non sono poi così distanti da quelle propugnate dal M5S, soprattutto sugli aiuti militati a Kiev.

L’ordine di scuderia è dunque quello di insistere su una questione che, senza dubbio, comincia a imbarazzare oltre il lecito Palazzo Chigi, e cioè la posizione della ministra Daniela Santanchè, dopo che la Procura di Milano ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini su Visibilia, nelle quali si ipotizza il reato di truffa aggravata ai danni dell’Inps. A questa storia, come è noto, si aggiunge quella della rivendita- lampo di villa Alberoni da parte del compagno della Santanchè e dalla moglie del presidente del Senato Ignazio La Russa.

Ieri in mattinata la segretaria dem ha mandato a parlare in aula il deputato e membro dell’ufficio di presidenza Andrea Casu, che ha polemicamente chiesto «a che ora si dimette la ministra Santanchè?», aggiungendo di non aver ancora ascoltato «nessuna parola da parte della presidente del consiglio Meloni sulle inquietanti notizie che riguardano la ministra». La quale ha già fatto sapere che farà le proprie valutazioni dopo la decisione del Gup. Nel caso, il Pd ha già pronta la mozione di sfiducia ( la seconda) sulla quale sarà agevole far convergere tutto il centrosinistra.

Tornando ad Emiliano, non manca chi, più malignamente, attribuisce l’improvvida uscita del governatore alla volontà - latente o manifesta - di rimettere al centro dell’attenzione il problema del futuro dei governatori “a fine carriera”, poiché non più ricandidabili. A livello politico, in genere, assistere all’ascesa politica di un personaggio di cui si rivendica la paternità (Decaro viene accreditato a turno di essere in lizza per le Europee, per la segreteria del Pd e per le Regionali) genera un riflesso d’orgoglio. Di certo, al Nazareno il problema di quale “scivolo” offrire a Emiliano e agli altri dovranno porselo, visto che la possibilità di un terzo mandato è preclusa a causa del braccio di ferro tra Meloni e Salvini. Non a caso, quando in Commissione il Pd ha votato con FdI e Fi per bocciare il famoso emendamento leghista, nella schiera di chi aveva chiesto una riflessione sul tema alla segretaria c’era anche il governatore pugliese, parte in causa assieme al collega campano De Luca e quello emiliano Bonaccini. Nell’immediato, però, quello che sta accadendo non favorisce certo il candidato di Decaro Vito Leccese, nella corsa al Comune contro il pentastellato Michele Laforgia, che dopo gli arresti di febbraio, tra l’altro, aveva lanciato l’allarme sulla possibile infiltrazione dei clan nella consultazione. Inoltre, nei prossimi giorni sia Decaro che Emiliano potrebbero essere ascoltati in Antimafia, il che di certo non aiuta.