«La Lega era no Tav, poi ha cambiato idea». Luigi Di Maio punta il dito sulla scarsa coerenza dell’alleato in tema di alta velocità e prova a scaldare i cuori della militanza pentastellata, rispolverando tutto l’armamentario di slogan da campagna elettorale: la Torino- Lione è «un favore a Macron», realizzabile solo con i «voti del Pd». Poco conta che a comunicare l’intenzione di proseguire nella costruzione dell’opera sia stato un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, indicato proprio dal Movimento 5 Stelle e che il partito pronto a fare accordi col Pd, la Lega, sia l’alleato scelto proprio da Di Maio per sottoscrivere un contratto di governo.

Di Maio contro Salvini Ma la priorità, adesso, è convincere il proprio elettorato di essere pronti alla battaglia dall’interno dei Palazzi romani, di non aver perso lo smalto movimentista. Così, il capo politico, incontrando a porte chiuse gli attivisti in Calabria, liquida il suo socio con parole poco lusinghiere: «A volte dobbiamo subire l'atteggiamento della Lega che è insopportabile. Ogni volta che si deve approvare un provvedimento, in Parlamento o in Cdm, ci dobbiamo sedere a un tavolo io, Conte e quell'altro là e dobbiamo fare un accordo», dice in un audio diffuso dalla testata LaCnews24.

Eppure, per convincere i militanti basterebbe decidere di interrompere l’esperienza di governo con un partner rivelatosi “nemico” per essere persuasivi - come del resto è stato suggerito dai capigruppo del Carroccio di Camera e Senato - ma per ora non sembra che le urne siano vicine. Meglio continuare con le scaramucce a oltranza.

La Lega «da sola non ha i numeri per far passare la Tav Torino- Lione, dovrà usare i voti del Pd. Però usare i voti del Pd per fare un favore a Macron è una cosa che dovranno spiegare poi ai lori elettori», spiega Di Maio. Se Salvini «va avanti ad armi pari senza usare i voti del Pd, sulla Tav ha meno voti di noi in Parlamento. Se invece usa i voti del Pd potrà vincere, ma io dico sempre dipende da come vinci», aggiunge il vice premier grillino.

Il nemico della Lega Torna a parlare anche il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, sulla cui scrivania pende “una taglia” della Lega. «Il Tav è una bidonata con costi enormemente superiori ai benefici», dice. «Il M5s, sin dalla nascita, è sempre contrario all’opera. Chi ha cambiato idea è la Lega. È, quindi, Salvini a dover spiegare alla gente e al proprio elettorato sulla base di quali elementi abbia cambiato idea».

Salvini, dal canto suo, non si sente in dovere di spiegare alcunché. Sa che per “vincere” il confronto in Aula sull’alta velocità il suo partito potrà contare non solo sui voti del Pd, comunque insufficienti a raggiungere la maggioranza, ma anche su quello degli alleati storici: Forza Italia e Fratelli d’Italia. Praticamente la vecchia coalizione di centrodestra, con l’aggiunta di un po’ di senatori dem, metterebbe nei fatti in minoranza la più numerosa forza parlamentare, e di governo, del Paese. Se portata fino in fondo, la strategia pentastellata condurrebbe a un solo sbocco: crisi di governo.

La pazienza di Giorgetti Ma l’esecutivo del cambiamento, fino ad ora, ha stupito gli elettori con continui colpi di scena: al mattino incendiari, la sera pompieri. Il tentennamento quotidiano però potrebbe aver logorato la pazienza di Giancarlo Giorgetti, navigato sottosegretario leghista alla presidenza del Consiglio, considerato in procinto di abbandonare l’incarico.

«Io faccio il mio mestiere. Fin quando riesco a farlo lo faccio», dice, senza confermare né smentire le voci su un suo imminente abbandono. «I treni dovrebbero unire l’Italia, l’alta velocità dovrebbe andare dalla Sicilia fino a Bolzano», afferma Giorgetti, in merito alla Tav. E sul futuro dei giallo- verdi: «Vedete, il governo è come questa bella giornata: l’altro ieri qua c’era un temporale che sembrava venisse giù il mondo, ieri era nuvoloso e oggi c’è sereno. Le giornate passano così».

Giorni difficili per la maggioranza E nuovi “acquazzoni” sono già previsti per i prossimi giorni. Oltre alla mozione M5S sulla Torino- Lione, entro il 13 agosto Palazzo Madama dovrà esprimersi sul Decreto sicurezza bis. I numeri in questo ramo del Parlamento sono parecchio ballerini per la maggioranza ( due voti in più rispetto al numero totale dei senatori) e alcuni esponenti M5S hanno già annunciatola loro contrarietà al provvedimento.

Potrebbe essere l’occasione per il famigerato incidente d’Aula atteso da Salvini per defilarsi. Qualora il decreto passasse, la maggioranza non potrebbe comunque essere considerata al riparo da insidie imminenti. È infatti ancora in attesa di calendarizzazione la mozione di sfiducia individuale presentata dal Pd nei confronti del ministro dell’Interno. E già qualche senatore grillino non esclude di poterla votare. Come la dissidente Elena Fattori, che ai microfoni di Radio Cusano Campus dice: «Ci penserò. Non è un ministro M5S e non tradirei neanche il mandato, se votassi la sfiducia». Ma forse è solo l’ennesimo temporale estivo.