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La prossima svolta arriverà il 9 luglio, termine ultimo entro il quale le opposizioni potranno presentare gli emendamenti al testo base della maggioranza sul fine vita. Il ddl, composto da 4 articoli, è stato adottato mercoledì scorso nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali del Senato, con il voto contrario della minoranza.
Lo “firmano” due relatori: Pierantonio Zanettin di Forza Italia e Ignazio Zullo di Fratelli d’Italia, che dopo mesi di polemiche e fumate nere al comitato ristretto di Palazzo Madama hanno presentato il testo definitivo nella tarda serata di martedì. Con l’obiettivo di arrivare in Aula prima della pausa estiva: il 17 luglio, come da calendario, o poco più tardi. Il percorso, fin qui, non è stato dei più facili. Con un risultato che «è il frutto di una mediazione», ha spiegato Zanettin, «ma non al ribasso». I nodi sono emersi anche nell’ultima riunione di giovedì, quando le commissioni hanno avviato la discussione generale sul testo.
In quell’occasione, la maggioranza ha “concesso” altre 24 ore alle opposizioni per presentare gli emendamenti, a patto che non ne producano una valanga. Altrimenti la maggioranza tirerà dritto, è il ragionamento delle forze politiche che sostengono il governo. Con i dovuti distinguo. Forza Italia ha lasciato una porta aperta ai dem, che si dicono a loro volta disponibili al dialogo.
Ma le distanze restano, sia con le opposizioni che dentro il centrodestra. Il punto più critico del testo riguarda il ruolo del Servizio sanitario nazionale, che nel testo base resta escluso dai percorsi di fine vita: il farmaco, la strumentazione è il personale necessario andranno cercati fuori dalla sanità pubblica. Su questo il partito della premier si è mostrato irremovibile: il Ssn è vocato alla vita, non alla morte – dice FdI.
Anche gli azzurri difendono il testo e ribadiscono il mantra di un centrodestra compatto. Come fa il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, che plaude al lavoro dei relatori e definisce quello sul Ssn un falso problema: bisogna distinguere – spiega l’azzurro – tra il luogo in cui avviene il suicidio assistito, che potrà essere anche un ospedale pubblico, e le prestazioni erogate, che invece non potranno rientrare nei Lea.
Nel partito, però, c’è chi non nasconde le proprie perplessità. Soprattutto dopo l’altolà di Filippo Anelli, presidente della Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), per il quale soltanto il servizio sanitario può garantire la dignità dei pazienti al di là delle proprie possibilità economiche. Il rischio, infatti, è di privatizzare le prestazioni. O di «privatizzare la sofferenza», dice il senatore Pd Alfredo Bazoli, che confida ancora in un confronto con la maggioranza. L’ipotesi non è esclusa del tutto Forza Italia, che tramite il portavoce nazionale Raffaele Nevi conferma al Dubbio la necessità di trattate il tema con attenzione, ascoltando anche gli operatori del settore. E lasciando libertà di coscienza sul voto.
L’altro nodo riguarda il “comitato nazionale di valutazione”, che dovrà verificare le richieste di accesso al suicidio assistito. Sarà istituito tramite decreto del Presidente del consiglio e composto da sette membri: un giurista, un bioeticista, un medico specialista in anestesia e rianimazione, un palliativista, uno psichiatra, uno psicologo e un infermiere. Le opposizioni chiedono di alzare il numero dei componenti e di cancellarne la nomina governativa, ma soprattutto chiedono di rivedere il termine di 180 giorni fissato per ripresentare una richiesta rifiutata, qualora il paziente abbia maturato i requisiti richiesti. Che sono gli stessi stabiliti dalla Corte costituzionale con la sentenza 242 del 2019: che il paziente sia affetto da una patologia irreversibile, che sia capace di autodeterminarsi, che reputi le proprie sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
Quest’ultimo punto, già esteso dalla Corte con la sentenza 135/2024, lascia qualche dubbio per come è formulato nel testo: il ddl parla di “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”, laddove la Consulta considera idonee anche alcune pratiche svolte dai caregiver. La priorità, comunque, restano le cure palliative, che il testo mira a garantire su tutto il territorio nazionale. Su questo sarà possibile una convergenza con le opposizioni, a patto che non si tratti di un trattamento sanitario obbligatorio. In questo senso, non mancano i dubbi di chi, tra i giuristi, teme che la legge possa finire dritta davanti alla Consulta. L
a stessa Corte che ormai sei anni fa ha chiesto al Parlamento di occuparsi della materia, ribadendo più volte l’invito a legiferare. A realizzare l’obiettivo potrebbe essere proprio il centrodestra, al cui interno le posizioni sono variegate. C’è chi una legge non l’avrebbe voluta, confidando in un cambio di rotta della Consulta. C’è chi sostiene da sempre le scelte di fine vita, come “l’eretico” Luca Zaia. E poi c’è la posizione dei più, secondo cui una legge nazionale è necessaria soprattutto per evitare “fughe in avanti” delle Regioni. A partire dalla Toscana, che lo scorso febbraio ha messo a punto una norma impugnata dal governo. Un nuovo “varco” si potrebbe aprire l’8 luglio, quando l’eutanasia arriverà per la prima volta davanti alla Consulta. L’Aula dovrà anticiparla, senza escludere geometrie variabili su un tema che interroga la politica oltre le logiche di schieramento.