L’altolà dei medici sul fine vita non sembra caduto nel vuoto. Al contrario: tocca un nervo scoperto anche dentro la maggioranza, che da mesi si arrovella per confezionare un testo «condiviso» dalle forze politiche e dagli “stakeholder” in campo.

A preoccupare un po’ tutti, ormai è noto, è l’esclusione del Servizio sanitario nazionale. Per le opposizioni si rischia di privatizzare la morte assistita. E la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici ha messo in luce la necessità di garantire a tutti i pazienti pari dignità e trattamento. Sul punto, però, Fratelli d’Italia è irremovibile: il Ssn deve tutelare la vita, non certo la morte – dice il partito della premier. Ora lo ripete anche Forza Italia, che difende il testo e rilancia il mantra di un centrodestra compatto.

Ma è innegabile che gli azzurri abbiano avuto le loro perplessità, come il copione di ogni martedì al Comitato ristretto di Palazzo Madama ha dimostrato. E i dubbi non sono spariti neanche dopo l’ultima riunione, ora che l’esclusione del Ssn resta scolpita nell’articolo 4 del testo base adottato al Senato. «C’è un problema sul servizio sanitario, che non è campato in aria e va trattato con attenzione, ascoltando anche gli operatori del settore», dice il portavoce nazionale di Forza Italia Raffaele Nevi. Che già ieri aveva aperto al dialogo con le opposizioni per possibili migliorie sul testo.

I dem sperano, senza farsi troppe illusioni, che il voto sugli emendamenti possa regalare sorprese. Il termine per presentarli è slittato di un giorno, al 9 luglio, con l’obiettivo di arrivare in Aula il 17. Solo allora si scopriranno le carte, tenendo a mente che sul tema Forza Italia lascia ai suoi “libertà di coscienza”. Nevi lo ribadisce anche al Dubbio, «senza escludere nulla»: il percorso parlamentare farà il suo corso. Ciò che serve è ascoltarsi un po’ di più, senza piazzare bandierine ideologiche, ragiona l’azzurro. Il quale rivendica l’approccio laico e aperto del suo partito.

I passi in avanti, insomma, sono possibili. Mentre il relatore del ddl in quota Fratelli d’Italia, Ignazio Zullo, va in direzione contraria: a retrocedere dovranno essere le opposizioni, che «sono rimaste sulle loro posizioni ideologiche». Il guaio è intendersi sui principi, più che sui tecnicismi: se il suicidio assistito non è un diritto, come ripete il centrodestra, qual è lo scopo di questa norma? Il senatore Pd Franco Mirabelli, che tre anni fa ha scoperto di avere la Sla, la mette così: «L’impressione è sempre la stessa - scrive grazie all’aiuto di un lettore ottico collegato a un computer - la destra non considera il fine vita una possibilità di scelta per chi soffre ma piuttosto una norma che è costretta a fare e a subire e quindi tende a svuotarla».

Ma anche dentro la maggioranza c’è chi una legge la vuole davvero, e il relatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin punta all’obiettivo: «Nell’impresa di legiferare sul fine vita si sono cimentati il governo giallorosso, il governo gialloverde, il governo tecnico di Draghi, ma nessuno ci è riuscito», dice il senatore azzurro, prima di sottolineare che «non possiamo permettere che a livello locale si usino parametri più o meno restrittivi, perché si creerebbe il caos, con il rischio che si arrivi addirittura a un “turismo della morte”».

A questo scopo servirebbe anche il comitato nazionale che valuterà le richieste, e che continua a non piacere al Pd anche se non si chiama più “etico”. «Sono tra coloro che preferiscono approvare una legge imperfetta, purché il nostro paese adotti norme in materia di fine vita, ma il testo portato in commissione è inaccettabile e costituisce una regressione anche rispetto alla situazione attuale. Mi auguro si possa riaprire un confronto», spiega il dem Alfredo Bazoli all’assemblea del gruppo Pd convocata oggi.

Chi boccia in toto il ddl, invece, è l’Associazione Coscioni: «Il testo non mira a privatizzare l’aiuto alla morte volontaria - tuona Marco Cappato -, ma a vietarlo. Questa legge infatti cambia i parametri stabiliti dalla Corte costituzionale». La stessa Corte che ha chiesto al Parlamento di legiferare sei anni fa, segnando un tracciato dal quale è impossibile deviare. Con la sentenza 242 del 2019 i giudici hanno fissato i criteri, e poi li hanno allargati con le successive pronunce. Il tutto affidando al Ssn  e ai comitati regionali il ruolo di vigilare. Ma questo non vuol dire, per il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, che escludere la sanità pubblica significhi restringere lo spazio aperto dalla Corte: «Quello che non si ricava dalle sentenze della Consulta è il diritto alla prestazione - dice - Non c’è un diritto alla prestazione».